Questo sito utilizza i cookie per migliorare l'esperienza utente e per ricavare informazioni statistiche anonime delle visite alle pagine. Per maggiori informazioni consulta la nostra cookie policy
OK, ho capito
#finedelmondo

Interviste

A lezione nello spazio

15 aprile 2016



condividi


Una riflessione sul paesaggio, a migliaia di chilometri dalla terra.





La foto della terra vista dallo spazio riesce a racchiudere due delle caratteristiche che ci rendono uomini: il senso di finitezza e quello di universalità. Come potremmo spiegare questo fascino misterioso che dura negli anni?

Oggi per noi è abituale, persino familiare, vedere la Terra in fotografia. Non riusciamo più a immaginare cosa ci sia stato di così dirompente negli anni Sessanta, quando per la prima volta nella storia della nostra specie gli uomini hanno avuto una rappresentazione del loro pianeta visto da fuori. Peter Sloterdijk ha affermato che ogni raffigurazione della Terra ha un valore semimetafisico, e ha ragione. È vero per le mappe, per i globi terrestri che abbiamo realizzato fin dal XVI secolo, ma le fotografie della Terra scattate dallo spazio sono una radicalizzazione inaudita di quel valore. In particolare la fotografia chiamata Earthrise, ripresa dall’equipaggio di Apollo 8 nel 1968, ha evidenziato nettamente il senso del viaggio e ci ha dato per la prima volta una coscienza paesaggistica del cosmo.

Una delle grandi eredità lasciate dalle missioni spaziali è che il paesaggio non è fatto di luoghi isolati, di oggetti cosmici, ma di relazioni. E che queste relazioni diventano paesaggi quando suscitano, in chi ne è catturato, una forma di autoriflessione. In fondo è la stessa situazione di Giacomo Leopardi, il quale fece partire la sua riflessione sull'infinito partendo da un colle della sua Recanati e dal suo sguardo. Il paesaggio genera un’autoriflessione che, nel caso dello spazio, si è rivolto al destino dell'intera umanità e dello stesso pianeta in cui viviamo. Inoltre, fino a che non l'abbiamo vista dall'esterno la Terra era percepita sensibilmente come un corpo fermo. Lo ha scritto Husserl: la nostra esperienza fisica della Terra è quella di un corpo che non si muove, anche se la conoscenza che ne abbiamo in senso scientifico è diversa. Con le esplorazioni spaziali il nostro pianeta è diventato per noi anche sensibilmente, esteticamente, un corpo in movimento, fluttuante nello spazio, in cui le nozioni di alto e basso, per esempio, sono relative. Non sono più state solo le leggi della fisica a mostrarcelo, ma i nostri sensi. Le Socle du monde (La base del mondo), una delle basi magiche di Piero Manzoni, che si trova in Danimarca, rappresenta molto bene il senso di questa esperienza e significativamente è stata realizzata poco dopo il viaggio di Jurij Gagarin fuori dall’atmosfera terrestre, il primo uomo a sperimentare l’assenza di gravità.

 

[1035]

 

Quando si parla della Luna si usa spesso un lessico e una retorica tipica del mondo militare. Alcune delle foto che raccontano le missioni degli astronauti cercano però di superare questo immaginario restituendoci anche un'immagine ludica del pianeta, in cui il satellite ci viene presentato come una specie di grande parco giochi dove saltare e porre bandierine. Un po' paradossale, no?

Le foto e le informazioni che troviamo oggi online, dal sito della Nasa a Google Earth, ci presentano la Luna come un estensione del pianeta Terra. Questo processo di "delunarizzazione", per usare un termine di Günther Anders, è iniziato fin da subito. L'approccio militare, che è dietro tutte le missioni spaziali, nel caso della Luna era reso ancora più marcato dalla sfida tra le due superpotenze di allora: il satellite era l'ultima frontiera delle conquiste umane e, insieme, il luogo in cui affermare il proprio primato sul mondo terrestre, ma simbolicamente, cioè senza dover scatenare una guerra. La Luna peró così perdeva molto della sua alterità e del suo mistero. Quello che gli astronauti hanno fatto fuori dal modulo, tirando palline da golf, lanciando martelli, usando le coperture termiche come aquiloni, era un modo appropriarsi di una dimensione altra, provando a fare cose che sulla Terra appartengono alla sfera del gioco.

 

La recente missione dell'ESA, con a bordo Samantha Cristoforetti, è stata seguita giornalmente dal grande pubblico grazie al flusso costante di immagini e pensieri che venivano condivisi dagli stessi astronauti sui social media. In fondo questo approccio non sembra molto diverso dal contatto vocale costante che tennero i primi astronauti con la Terra durante l'allunaggio.

Il contatto radio era all’inizio una questione di sicurezza per limitare al minimo la possibilità di svolgere azioni senza il controllo dalla base. Il critico e filosofo francese Maurice Blanchot ha sottolineato che questo dialogo continuo è il modo in cui si testimoniava al pubblico il nostro essere andati fuori ed era il segno che il linguaggio stesso aveva compiuto un salto fuori dal nostro mondo. Ora le cose sono diverse, abbiamo una maggiore familiarità con la stazione spaziale, ma esser in continuo contatto con la Terra resta un modo di testimoniare la vitalità di missioni che costano tanto, ma di cui è difficile comprendere la reale utilità. Un flusso costante di notizie, collegamenti e foto è anche una strategia per giustificare l'esistenza delle missioni. C'è poi una questione di cui non si parla mai, un tema tabù: quello della noia in orbita. Il caso dell'astronauta canadese Chris Hadfield che canta Space Oddity di David Bowie e che poi cerca di capire se si può piangere in assenza di gravità è un modo di produrre informazioni e al tempo stesso rendere più interessante la missione, combattendo la noia di una vita tecnica fatta di esperimenti e lunghi tempi vuoti.

 

[1036]

 

Come possiamo spiegarci la recente esplosione di interesse per le missioni, in particolare per la Luna? Penso ad esempio al progetto di Richard Branson, Virgin Galactis o space X di Elon Musk che promette viaggi turistici dalla Terra a Marte.

Nel riaccendersi dell'interesse per lo spazio la Luna è in realtà solo uno degli ingredienti e, come ieri, conta essenzialmente perché è il corpo celeste più vicino e raggiungibile. Prospettive minerarie ci sono, ma sembra siano modeste, mentre la spinta turistica sembra più forte e si nutre anche della presenza delle cose e delle tracce lasciate dagli uomini. In tutte le esplorazioni spaziali, ad ogni modo, rimane qualcosa che ha a che vedere con la frontiera e con il prestigio, cosa che giustifica non solo gli investimenti dei grandi patrimoni nati dal web ma anche gli sforzi di paesi come la Cina, ovvero di stati in crescita e in cerca di un’affermazione simbolica sulla Terra. Il fondatore di Amazon, Jeff Bezos, ha intrapreso un’attività di recupero sottomarino dei relitti dei missili che si trovano nell’Oceano Atlantico, al largo della Florida, una vera e propria nuova archeologia dell'era spaziale. Ma per prepararci a un rapporto più familiare con lo spazio, film recenti come Gravity e The Martian hanno affrontato un tema prima impensabile, quello dell'uomo che da solo, senza equipaggio e con il minimo dell’attrezzatura possibile, o anche sotto il minimo, riesce a farcela e a tornare sulla Terra. Lo spazio resta l'ambiente ostile per eccellenza, ma le sue insidie diventano affrontabili anche individualmente. Il ritorno sulla Terra in questi film diventa possibile anche senza scudi termici o con un modulo scoperchiato come fosse una cabriolet, lo dice il protagonista di The Martian. L'immagine che ci viene restituita è quella di uno spazio frequentabile, in cui anche da soli è possibile cavarsela, sfidando e superando i limiti e le condizione tecniche, una situazione cara alla mitopoiesi americana.

 

Vorrei chiudere parlando di musica visto che lei da tanti anni si occupa della programmazione musicale su RadioRai3. Quali brani proporrebbe in una playlist per una missione spaziale?

Nello spazio la mancanza di atmosfera rende impossibile la propagazione del suono. Gli astronauti possono sentire la musica solo all'interno dei caschi o degli abitacoli. Negli anni Sessanta si formò quasi una colonna sonora, oggi diremmo una playlist, con Frank Sinatra prima e David Bowie poi. Oggi, con la recente scoperta delle onde gravitazionali, si è riaccesa la discussione sulla musica da ascoltare nello spazio. Ma io credo che la musica nei viaggi spaziali sia destinata ad avere un posto importante, perché se è vero che i tempi lunghi dei viaggi sono difficili da sostenere, la musica è il modo migliore che gli uomini hanno inventato per vincere la noia e in un certo senso per rendere magico lo scorrere del tempo.

 

[1034]



condividi


Leggi anche
JOURNAL / INTERVISTE
3 giugno 2016
Taxi Utopia
Intervista a Paco Ignacio Taibo II
JOURNAL / INTERVISTE
11 maggio 2016
Il cartografo dell'umanità
Intervista a Qiu Zhijie
JOURNAL / FRAMMENTI
29 aprile 2016
Apocalypse now
di Włodek Goldkorn
JOURNAL / SCENARI
28 aprile 2016
It's just the end, darling...
di Redazione
JOURNAL / FRAMMENTI
24 marzo 2016
L'importanza di immaginare
di Fabio Beltram
JOURNAL / SCENARI
11 marzo 2016
La fine del mondo
di Fabio Cavallucci