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#finedelmondo

Interviste

Il suono delle stelle

9 gennaio 2017



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Tra minimalismo, elettronica e musica classica, il musicista inglese Roly Porter racconta la sua personalissima ricerca. Un universo sonoro dilatato e rarefatto, dove l'essere umano si rivela per quello che è: un microscopico granello di materia all'interno di un cosmo immenso.





Il tema della “fine del mondo”, intesa come una esistenza post umana o, più in generale, come qualcosa legato alla relatività del tempo e dello spazio, è stato il focus dei tuoi lavori solisti. Mi riferisco in particolare ai tuoi album Aftertime (2011), Life Cycle of a Massive Star (2013) e Third Law (2015). Quali aspetti di questo argomento ti affascinano di più e come hai deciso di tradurlo in musica?

Per continuare a comporre ho bisogno di mettere da parte il mio pessimismo naturale e abbracciare la speranza e l'amore per l'umanità. Penso che sia un’operazione molto difficile da compiere, se consideriamo i problemi attuali. Se ci concentriamo sulla politica e sulle questioni del momento, è complicato trovare il modo di portare un contributo significativo ed elaborare il nostro rapporto con le cose in modo positivo. Per fortuna molti artisti e attivisti ci riescono ogni giorno, e sono molto grato per questo. Arte e musica hanno sempre avuto un ruolo fondamentale da svolgere nel cambiamento sociale: tuttavia, al momento, io non sono una di quelle persone.

Leggendo testi di fantascienza o di saggistica, quando si parla di un universo post umano o di possibili scenari per la vita umana in un lontano futuro – o, semplicemente, quando si pensa alle cose su una scala diversa, come nel caso delle esplorazioni spaziali – trovo che il mio punto di vista sull’umanità cambi. In parte, è una sorta di evasione e, potenzialmente, potrebbe essere considerato irresponsabile; ma, vista da quella distanza, trovo più facile amare la razza umana e ignorare i suoi difetti. Su quella scala le vite individuali sembrano dolorosamente piccole e fragili e, in un modo strano, sullo sfondo del tempo e dello spazio, anche le più grandi parodie della nostra specie assumono un po’ il senso di una lotta piena di speranza.

 

Ognuno dei tuoi dischi è incentrato su specifiche immagini o concetti relativi a suggestioni extra musicali: Aftertime contiene tracce che prendono il titolo dai pianeti e stelle di Dune, l’epico romanzo di fantascienza di Frank Herbert; Life Cycle parla della vita di una stella, dalla sua nascita alla sua disintegrazione (sonora); il titolo di Third Law è ispirato alla terza legge della dinamica di Newton (per ogni forza, ne esiste una uguale e contraria). Perché hai deciso di scegliere questi temi in particolare? E pensi che possano esserci elementi connessi alla “fine del mondo”?

La fine del mondo è inevitabile. Non si tratta né una cosa buona né di una cosa cattiva: è semplicemente un fatto. Che il pianeta sopravviva abbastanza a lungo da vedere la fine del nostro Sole, o che qualche altro evento accada prima, è irrilevante, [il mondo] finirà. Mi sono imbattuto per la prima volta nell'idea che le cose siano finite e transitorie quando ho letto il Libro Tibetano del Vivere e del Morire; questo, associato con la morte di mio padre, mi ha riempito di un terrore macabro. Ho vissuto per anni in uno stato di forte ansia indotta da farmaci, in cui sentivo la morte come imminente. Adesso mi sono ripreso. Abbracciare questa idea di transitorietà, e avere la capacità di vedere le cose da una prospettiva diversa e in una scala temporale più ampia, è stato fondamentale per farcela. È molto difficile, come essere umano, pensare al di fuori di un punto di vista umano-centrico, per esempio immaginare che non siamo il centro dell'universo. A causa di questo e della nostra breve vita media, abbiamo una percezione distorta del tempo e della scala temporale.

[1890]

Se li confrontiamo con Vex’d, il tuo precedente progetto di musica dubstep con Jamie Teasdale, tutti i tuoi lavori solistici presentano un ampio spettro di materiali sonori (suoni elettronici e concreti, strumenti acustici e anche citazioni da altri lavori, come Lux Aeterna di György Ligeti in Third Law), e denotano un interesse centrale nel comporre un suono globale organico e variegato, con una conseguente mancanza di elementi ritmici periodici. Vuoi spiegarci più nel dettaglio questo cambiamento di estetica?

Nel corso del tempo ho scoperto che la necessità nella dance music di adattarsi a un genere o di essere funzionale cominciava a influenzare la mia capacità di interagire con essa. Ho voluto creare qualcosa che fosse interamente un mondo, un album che fosse una colonna sonora per una sola idea che esisteva al di fuori tutte le altre regole o riferimenti. Capivo che questo non era possibile nella forma della musica che avevamo scritto come Vex'd, perché la gente aveva delle aspettative su quello che sarebbe dovuto essere, e sentivamo la responsabilità di comporre in quella forma. Io non volevo scrivere musica ambient, volevo ancora utilizzare le tecniche e gli elementi che ho amato dalla musica sound system, ma concependola in un modo diverso e più organico.

 

Viviamo in un tempo in cui il progresso tecnologico e scientifico ha espanso le possibilità della creazione musicale: si pensi, ad esempio, ai software per la composizione, alla possibilità di lavorare con ogni tipo di materiale sonoro, alla disponibilità di un’enorme documentazione del repertorio musicale di ogni periodo e luogo, ecc. Ad ogni modo, questo sviluppo implica una caducità dei dispositivi e dei mezzi di produzione del suono, e anche un rischio di appiattimento storico ed estetico delle sorgenti sonore. Come musicista che vive e crea musica in questo continuo corso di trasformazione, tieni in considerazione queste problematiche nel tuo processo creativo?

I modi in cui la musica può essere creata sono in continua evoluzione, così come lo sono i modi in cui essa può essere fruita. Non posso dire se, nel complesso, questi cambiamenti siano un miglioramento o un peggioramento, ma l'unica cosa che mi preoccupa è la ricerca dell'eccellenza. Molte nuove tecnologie sono progettate per aiutare l'utente, per rendere le cose più facili. Spesso possiamo accettare questo aiuto ed usarlo per andare oltre, ma se le cose sono troppo facili e la creazione e il consumo assumono un ritmo troppo veloce, penso che rischiamo qualcosa. Per diventare un grande pianista, o violoncellista, o qualsiasi altro strumentista, sono necessarie centinaia di ore di studio completamente concentrato. C'è forse qualcosa di istintivo in questo processo che incarna un risultato artistico di maggior valore, rispetto a qualcosa che è creato in parte automaticamente? Il Concerto L’Imperatore di Beethoven potrebbe essere stato scritto da una macchina o da un compositore non preparato con l'ausilio di una macchina? E, se ciò fosse possibile, che cosa significherebbe?

Da un punto di vista personale, gran parte della musica che faccio proviene dalla sperimentazione, in particolare per quanto riguarda gli elementi di creazione del suono. È una cosa che mi piace molto e accolgo tutte le nuove tecnologie musicali, ma spesso mi interrogo sul valore reale di ciò che sto creando, ed è possibile che i miei metodi tecnologicamente affidabili abbiano una parte in questo dibattito. Mi sento sempre profondamente intimidito quando incontro un musicista che suona uno strumento.

[1891,1892]

Potresti indicarci una playlist di 5 lavori (tuoi o di altri artisti) che colleghi al tema della nostra mostra, “la fine del mondo”, e spiegarci quali sono le ragioni di questa selezione?

 

1. River Mara at Dawn - Chris Watson

2. Lacrimosa - Zbigneiw Preisner

3. Vatnajokull - Chris Watson

4. Disintegration Loops, pt.1 - William Basinski

5. Lechten - Chris Watson

6. Symphony No. 3, pt. 3 - Henryk Gorecki

 

Se l'umanità non lascia la Terra e non colonizza altri pianeti c'è una probabilità molto alta che essa non sopravvivrà così a lungo da testimoniare la fine del pianeta. In questo caso, ci sarà un periodo di tempo sulla Terra in cui noi non ci saremo più e tutto ciò che abbiamo costruito si disintegrerà e la natura ritornerà a prevalere. C'è qualcosa di affascinante, quasi rassicurante in questo pensiero, ed è quello che mi piace prendere in considerazione durante l'ascolto dei field recordings. Così, in questo elenco, ho inserito tre brani di Chris Watson. Le tre scelte musicali parlano da sole.




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