OK,明白了!



The Missing Planet | 08.11.2019—03.05.2020

a cura di Marco Scotini e Stefano Pezzato, progetto di allestimento di Can Altay

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Visioni e revisioni dei "tempi sovietici" dalle collezioni del Centro Pecci ed altre raccolte

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The Missing Planet  apre un nuovo programma di mostre, ideato dalla direttrice Cristiana Perrella e dedicato ad approfondire temi, periodi e linguaggi della collezione del Centro Pecci, affidandone la cura ad un esperto invitato come guest curator e affiancato dal responsabile delle collezioni e archivi Stefano Pezzato.

 

La cura di questa prima mostra è affidata a Marco Scotini che ha integrato decine di opere della collezione del Centro Pecci con altre provenienti da importanti collezioni e istituzioni italiane e internazionali, per comporre una 'galassia' delle principali ricerche artistiche sviluppate nelle ex repubbliche sovietiche tra gli anni Settanta e oggi: dalla Russia alle province baltiche, caucasiche e centro-asiatiche. Il progetto originale dell’allestimento è dell’artista Can Altay. La mostra sarà accompagnata da un calendario speciale di eventi, curato da Camilla Mozzato, e un programma di cinema, curato da Luca Barni.

 

A trent'anni dalla caduta del muro di Berlino e dalla successiva dissoluzione dell’URSS, non si può evitare la domanda su come sia cambiato il mondo in questi decenni, privato della radicale alternativa che rappresentò per Settant'anni il Paese dei Soviet. Quello che allora doveva apparire come un nuovo inizio, di fatto, di nuovo aveva ben poco nei suoi obiettivi: si trattò della negazione del cosiddetto Est (dei suoi valori) in favore di un’affermazione (espansione) dell’Ovest che, da quel momento, si sarebbe rivelato onnipresente e onnipotente. Che senso ha ritornare al Pianeta Rosso in un momento in cui le "stelle" del capitalismo sono libere di muoversi lungo le proprie orbite, senza più pressioni o attriti con corpi "alieni"? 

 

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Trent'anni sono passati anche dalla prima mostra che il Centro Pecci dedicò, tempestivamente e pionieristicamente, alla scena artistica non-ufficiale sovietica, sull'onda della Perestrojka. Nella primavera del 1990, Artisti Russi Contemporaneia cura di Amnon Barzel e Claudia Jolles, testimoniò l’euforia del momento e, contemporaneamente e contraddittoriamente, la nascita di un sentimento di timore verso il futuro.

A questa prima mostra, il Centro Pecci ne fece seguire un'altra, altrettanto importante: Progressive Nostalgia, a cura di Viktor Misiano. Una mostra che testimoniò la disillusione dello spazio post-sovietico di fronte ai processi di transizione e integrazione in Occidente, la crisi del capitalismo finanziario, dello smantellamento dei diritti sociali e della svolta autoritaria del liberismo, rimettendo totalmente in discussione l’ottimismo iniziale e registrando lo sconforto di fronte al fallimento del presente.

 

The Missing Planet si propone oggi come attuale e ultimo capitolo dell'ideale trilogia post-sovietica al Centro Pecci e non potrà che confrontarsi con un duplice passato: quello dell’utopia da un lato e quello della memoria dall'altro, a partire da opere delle due esposizioni precedenti. Se Artisti Russi Contemporanei  ha testimoniato la svolta mancata, con l'apertura a Est, e Progressive Nostalgia ha evocato la storia perduta, mettendo in scena una sorta di lutto o commiato, la nuova mostra propone un approccio archeologico dove fantasmi e realtà cercano di fare i conti con le "rovine del futuro". L’intento è quello di agire sul tempo, ma anche "contro" di esso, in favore di un tempo che deve ancora accadere. Per questo, tra metafora e realtà, la mostra propone un immaginario cosmico e utopistico che ha accompagnato l'epopea dell’Unione Sovietica, trasformando lo spazio espositivo del museo in uno Space Shuttle, dentro al quale Solaris di Andrei Tarkovskij incontra Kunst camera di Sergei Volkov come pure Once in the XX Century di Deimantas Narkevicius.

 

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Can Altay è stato incaricato di progettare l'allestimento della mostra The Missing Planet, costruendola sulla base del suo lavoro di "configurazione su configurazione" e su recenti esperimenti di allestimento. I suoi strumenti spaziali e i suoi aspetti architettonici forniscono il terreno per un incontro con gli altri lavori in mostra e, allo stesso tempo, per un'apertura dello spazio espositivo del museo. Inglobando la raccolta con le opere in mostra, l'allestimento che ha ideato per The Missing Planet compone un ecosistema, una rete fra cose, storie, posizioni artistiche e il pubblico. Sfidando le convenzioni e i protocolli dell'allestimento e del comportamento museale, il modo in cui la mostra diventa un insieme promuove una differente gerarchia rispetto all'attitudine dello spazio neutro.

Can Altay è coinvolto da lungo tempo con problematiche del 'fare mostre'. I suoi allestimenti generano comunità di cose e persone in azione, in movimento, che s'incontrano, che producono. Analogamente il suo lavoro sul 'fare mostre' e allestirle costruisce congegni e strumenti spaziali che mettono insieme le opere, che orientano i corpi all'incontro con quelle opere entro un panorama mentale e fisico. La commissione di Prato mette insieme queste nozioni nel contesto delle pratiche artistiche post-sovietiche e delle condizioni di comporre una mostra di collezione.

Altay investiga le funzioni, i significati, l'organizzazione e la riconfigurazione dello spazio pubblico. Suoi lavori recenti coinvolgono fra l'altro le collezioni del VanAbbe Museum (Eindhoven) e di ARTER-VKV (Istanbul).

 

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Artisti

Vahram Aghasyan; Vyacheslav Akhunov; Said Atabekov; Babi Badalov; Ilya Budraitskis - Alexandra Galkina - David Ter-Oganjan; Erik Bulatov; Alexey Buldakov; Vajiko Cachkhiani; Olga Chernysheva; Chto Delat (What is to be done?); Ulan Djaparov; Factory of Found Clothes; Andrei Filippov; Alexandra Galkina - David Ter-Oganjan; Balbar Gombosuren; Andris Grinbergs; Dmitry Gutov; Alimjan Jorobaev; Ilya Kabakov; Flo Kasearu; Gulnara Kasmalieva & Muratbek Djumaliev; Yakov Kazhdan; Anastasia Khoroshilova; Olga Kisseleva; Nikolaj Kozlov; Vladimir Kupryanov; Medical Hermeneutics; Jonas Mekas; Boris Mikhailov; Deimantas Narkevičius; Nikolay Oleynikov; Boris Orlov; Anatoly Osmolovsky; Perzi; Dmitry Prigov; Radek Community; Koka Ramishvili; R.E.P. Group; Andrei Roiter; Vladislav Shapovalov; Leonid Sokov; Andrey Tarkovsky; Leonid Tishkov; Jaan Toomik; Andrei Ujică; Nomeda & Gediminas Urbonas; Anton Vidokle; Sergei Volkov; Yelena & Viktor Vorobyev; Arseny Zhilyaev; Konstantin Zvezdochotov

 

Can Altay, progetto d'allestimento

 

Mostra prodotta dal Centro per l'Arte Contemporanea Luigi Pecci e basata su opere della collezione museale

 

Con il sostegno di: 

PECCI FILATI spa

PUBLIACQUA spa

 

Grazie alla collaborazione di:

Andrey Tarkovsky International Institute, Firenze - Paris - Moscow

Archivio Italo Rota Bodhi Dharma Foundation, Ulaanbaatar, Mongolia

Collezione Beccaglia, Prato

Collezione Gori, Pistoia

Collezione E. Righi

Collezione Marinko Sudac

Irina and Maris Vitols Collection, Riga, Latvia

Fondazione Cassa di Risparmio di Prato

Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino

 

Courtesy

gli artisti

Apalazzo Gallery, Brescia

C+N Canepa & Neri, Milano-Genova

Guido Costa Projects, Torino

Hilger Contemporary, Vienna

Laura Bulian Gallery, Milano

Prometeo Gallery, Milano

Skopia Art contemporain, Gèneve

The Gallery Apart, Roma

 


 

Quando

08.11.2019 – 03.05.2020

 

Opening: giovedì 7 novembre, ore 18.30

 

> Orari e biglietti 




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Ren Hang. Nudi | intervista a Cristiana Perrella

Ren Hang. Nudi

a cura di Cristiana Perrella

04 giugno —30 agosto 2020

 

Esplicito ma anche poetico, il lavoro dell’acclamato fotografo e poeta cinese Ren Hang (1987– 2017) è esposto per la prima volta in Italia con una selezione di 90 fotografie, accompagnate da un portfolio che documenta il backstage di uno shooting di Ren Hang nel Wienerwald nel 2015 e un’ampia sezione di libri rari sul suo lavoro. Ren Hang è noto soprattutto per la sua ricerca su corpo, identità, sessualità e rapporto uomo-natura, che ha per protagonista una gioventù cinese nuova, libera e ribelle. Per lo più nudi, i suoi soggetti appaiono su un tetto tra i grattacieli di Pechino, in una foresta di alberi ad alto fusto, in uno stagno con fiori di loto, in una vasca da bagno tra pesci rossi che nuotano oppure in una stanza spoglia, i loro volti impassibili, le loro membra piegate in pose innaturali. Cigni, pavoni, serpenti, ciliegie, mele, fiori e piante sono utilizzati come oggetti di scena assurdi ma dal grande potere evocativo. Sebbene spesso provocatoriamente esplicite nell'esposizione di organi sessuali e nelle pose, che a volte rimandano al sadomasochismo e al feticismo, le immagini di Ren Hang risultano di difficile definizione, scottanti e allo stesso tempo pure, permeate da un senso di mistero e da un’eleganza formale tali da apparire poetiche e, per certi versi, melanconiche. I corpi dei modelli – tutti simili tra loro, esili, glabri, dalla pelle bianchissima e i capelli neri, rossetto rosso e unghie smaltate per le donne – sono trasformati in forme scultoree dove il genere non è importante. Piuttosto che suscitare desiderio, queste immagini sembrano voler rompere i tabù che circondano il corpo nudo, sfidando la morale tradizionale che ancora governa la società cinese. In Cina infatti, il concetto di nudo non è separabile da quello di pornografia e il nudo, come genere, non trova spazio nella storia dell’arte. Le fotografie di Ren Hang sono state per questo spesso censurate. “Siamo nati nudi…io fotografo solo le cose nella loro condizione più naturale” (Ren Hang).


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2020年05月13—19日
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2020年05月06—13日
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2020年05月02日 10:00
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2020年04月23—22日
/ PECCI EXTRA
2020年04月08—15日

  • Tatjana Lightbourn, Correlate with the grey/Correlare con il grigio, performance tenuta il 28 settembre 2019, Hymmo Art Lab, Pratovecchio, Arezzo. 

     

    Foto © Alessandra Cinquemani

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