#ClassiciRestaurati
con Michael Gough, Tilda Swinton, Karl Johnson
(Gran Bretagna, 1993) 75'; v. or. sott. it.
Spettacoli
mercoledì 22 febbraio, ore 21.15 - v. or. sott. it.
domenica 26 febbraio, ore 19.45 - v. or. sott. it.
La biografia del filosofo Ludwig Wittgenstein viene raccontata da Derek Jarman in modo unico e stravagante in questo piccolo ma geniale film, l’ultimo lavoro di fiction del cineasta inglese prima della sua scomparsa, a causa dell’AIDS, nel 1994.
Jarman, artista militante per i diritti LGBTQ+, mette in scena il padre della filosofia del linguaggio rappresentando visivamente i suoi ragionamenti, i teoremi, l’avversione per il mondo accademico e la lotta per vivere liberamente la propria sessualità, in un film gioiosamente queer sia nella forma che nel contenuto.
A supporto del regista inglese un grande cast, tra cui va sottolineata la presenza della sua musa per eccellenza, Tilda Swinton, nella parte della stravagante Lady Ottoline Morrell, e i magnifici costumi di Sandy Powell, stilista poi vincitrice di tre premi Oscar.
Wittgenstein torna in sala, in versione restaurata, in occasione del suo trentennale della sua prima alla Berlinale, dove si aggiudicò il Teddy Bear Award come miglior film a tematica LGBTQ+.
JARMAN CONFEZIONA UNA VARIANTE DI REGIA TEATRALE CHE SI COLLOCA IN UNA PRODUTTIVA AMBIGUITÀ TRA REALTÀ E FINZIONE (Giancarlo Zappoli, mymovies.it)
Ludwig Wittgenstein è ancora un ragazzino quando inizia a raccontare di sé e della sua famiglia per poi passare agli studi e a tutte le personalità che lo hanno conosciuto ed apprezzato a partire da Bertrand Russell e Maynard Keynes. Il film lo segue nel suo complesso percorso filosofico ed esistenziale.
Un film distante anni luce dai biopic che conosciamo ma che, al contempo, non ci dice molto sul filosofo ma piuttosto sul modo in cui Jarman vedeva il mondo.
Wittgenstein, come è noto, si è occupato in modo particolare, tra le varie discipline che lo hanno interessato, di filosofia del linguaggio ed è su questo aspetto che si concentra il lavoro di Jarman. Con un budget di 300.000 sterline e 12 giorni di riprese realizza una serie di tableau vivant in movimento su sfondo rigorosamente nero che seguono le tappe della vita del filosofo definito dall'amico (fino a una certa epoca) Bertrand Russell, il più importante filosofo del '900.
Il regista in qualche misura si identifica con il personaggio apprezzandone la complessità del pensiero e cercando di proporlo senza alcuna pretesa, né di spiegarlo né di raccontarne la vita. Vuole che lo spettatore ne colga la poliedricità non rinunciando però a riportarci costantemente alle radici della sua esistenza. Il Wittgenstein ragazzino fa da interpunzione alla narrazione quasi a volerci ricordare che l'imprinting familiare ci imprime tratti indelebili.
La scelta del fondo nero permette di far risaltare maggiormente i colori degli abiti di coloro che circondano un protagonista che è invece pensato con colori smorti. Così come, più che smorta, appare come poco incisiva e quasi dandy la figura di un grande pensatore ribelle quale è stato il già citato Russell.
Pur essendo opera di un maestro nell'uso provocatorio del linguaggio cinematografico, rivisto a 30 anni dalla sua apparizione sugli schermi cinematografici, il film suscita qualche perplessità. Ad esempio nel personaggio del marziano verde che sta in bilico tra l'amico immaginario e l'alter ego di Wittgenstein rischiando di sembrare, ci si perdoni l'irriverenza, un Muppett gigante.
Bisognerà attendere le ultimissime battute del film per comprenderne l'importanza nel contesto generale. Ciò che finisce con il risultare davvero interessante è questa variante di regia teatrale che si trasforma in cinema e che continuamente si colloca in una produttiva ambiguità tra realtà e finzione. Chi cerca il biopic tradizionale è invitato a rivolgersi altrove. Chi invece vuole approfondire la conoscenza di un regista importante o incontrarlo per la prima volta farà bene a non perdere l'occasione.
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Spettacoli
22 febbraio, ore 21.15 vos
26 febbraio, ore 19.45 vos