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Jacopo Benassi. Vuoto | Intervista a Jacopo Benassi

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Jacopo Benassi. Vuoto
a cura di Elena Magini

08.09.2020–28.02.2021

 

La mostra Vuoto, prima personale dell’artista in un museo, costituisce uno sguardo su 25 anni di lavoro di Jacopo Benassi (La Spezia, 1970). Il progetto, condiviso con il fotografo, si declina attraverso una spazialità dilatata, che si origina dallo studio di Benassi, parzialmente ricreato all’interno della mostra, passando per le sale del Centro Pecci, dove vengono esposte alcuni dei
cicli e dei progetti più significativi dell’autore, e si amplia nella città di Prato, dove la mostra è stata “anticipata” da un progetto site specific di affissioni dislocate nello spazio urbano.

Jacopo Benassi fotografa a partire dalla fine degli anni Ottanta, nell’alveo della cultura underground spezzina: la sua prima fotografia è stata infatti scattata in un centro sociale ad un gruppo punk. Negli anni il fotografo ha sviluppato uno stile personalissimo, dove la profondità di campo viene annullata e la luce del flash diviene una sorta di firma, un limite stilistico che Benassi si autoimpone per arrivare ad una fotografia cruda e potente, priva di mediazioni.

I soggetti fotografati da Benassi sono i più disparati, un’umanità varia che si muove dalla cultura underground, che in mostra trova spazio con le fotografie legate all’esperienza del club B-Tomic e al panorama musicale internazionale, ai ritratti di modelle, attrici, artisti, stilisti pubblicati in alcune delle più importanti riviste italiane, fino all’indagine sul corpo, possibile filo rosso di una produzione pantagruelica. Il corpo è infatti protagonista sia della documentazione autobiografica di incontri sessuali, magistralmente sintetizzata nel progetto Fags (2020), sia nello sguardo intenso sulla statuaria antica, perno della serie Crack! (2019). Un posto speciale nell’opera di Benassi è occupato dall’autoritratto, che accompagna spesso il suo percorso performativo: la sperimentazione sulla performance, sia dello stesso Benassi che di altri, si lega costantemente alla musica e viene di fatto sempre mediata dall’immagine fotografica, soggetto e oggetto della ricerca dell’artista.

 

Vuoto, il titolo della mostra apparentemente controintutivo rispetto al proliferare di immagini che animano gli spazi del museo, richiama la specifica sensazione di Benassi rispetto ad un’indagine a posteriori sulla sua produzione. Uno “svuotarsi” che è inteso come percorso di autoesposizione pubblica: nella mostra il fotografo si concede interamente allo spettatore, consegnando il suo studio, i suoi strumenti, il panorama creativo che l’accompagna nella gestazione del lavoro, l’insieme degli scatti che danno vita ad un’indagine decennale sui temi dell’identità, della notte, del lavoro, del corpo. Un atto di apertura verso l’esterno che costituisce un punto zero nella carriera dell’artista, e di contro, una possibile rinascita.







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Ren Hang. Nudi | intervista a Cristiana Perrella

Ren Hang. Nudi

a cura di Cristiana Perrella

04 giugno —30 agosto 2020

 

Esplicito ma anche poetico, il lavoro dell’acclamato fotografo e poeta cinese Ren Hang (1987– 2017) è esposto per la prima volta in Italia con una selezione di 90 fotografie, accompagnate da un portfolio che documenta il backstage di uno shooting di Ren Hang nel Wienerwald nel 2015 e un’ampia sezione di libri rari sul suo lavoro. Ren Hang è noto soprattutto per la sua ricerca su corpo, identità, sessualità e rapporto uomo-natura, che ha per protagonista una gioventù cinese nuova, libera e ribelle. Per lo più nudi, i suoi soggetti appaiono su un tetto tra i grattacieli di Pechino, in una foresta di alberi ad alto fusto, in uno stagno con fiori di loto, in una vasca da bagno tra pesci rossi che nuotano oppure in una stanza spoglia, i loro volti impassibili, le loro membra piegate in pose innaturali. Cigni, pavoni, serpenti, ciliegie, mele, fiori e piante sono utilizzati come oggetti di scena assurdi ma dal grande potere evocativo. Sebbene spesso provocatoriamente esplicite nell'esposizione di organi sessuali e nelle pose, che a volte rimandano al sadomasochismo e al feticismo, le immagini di Ren Hang risultano di difficile definizione, scottanti e allo stesso tempo pure, permeate da un senso di mistero e da un’eleganza formale tali da apparire poetiche e, per certi versi, melanconiche. I corpi dei modelli – tutti simili tra loro, esili, glabri, dalla pelle bianchissima e i capelli neri, rossetto rosso e unghie smaltate per le donne – sono trasformati in forme scultoree dove il genere non è importante. Piuttosto che suscitare desiderio, queste immagini sembrano voler rompere i tabù che circondano il corpo nudo, sfidando la morale tradizionale che ancora governa la società cinese. In Cina infatti, il concetto di nudo non è separabile da quello di pornografia e il nudo, come genere, non trova spazio nella storia dell’arte. Le fotografie di Ren Hang sono state per questo spesso censurate. “Siamo nati nudi…io fotografo solo le cose nella loro condizione più naturale” (Ren Hang).


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