Il film è stato girato nelle terre desolate del Tibet. La macchina da presa mostra cumuli di rifiuti urbani e carcasse di animali sparse nella steppa, un paesaggio arido e austero.
Con l’atteggiamento di un raccoglitore, Zhang Huan si muove tra scarti e morte, ponendo il corpo in una sorta di flusso di coscienza surreale. L’opera non si limita alla realtà, ma evoca piuttosto il bagliore finale dell’anima prima della dissoluzione: nel viaggio verso la reincarnazione, il sole e la luce di terre lontane si intrecciano, lo sguardo dei rapaci domina le distese, e tempo e rovine si trasformano in una sorta di simbolico funerale celeste. Con un linguaggio visivo sobrio e minimale, il film intreccia il deserto, le rovine e l’eco cosmica, facendo emergere, in un silenzio poetico, la brevità, l’impermanenza e la possibilità di rinascita della vita.