Sul pianeta Ygam vivono giganteschi androidi di nome Draag che praticano la meditazione. I loro figli passano la gran parte del tempo in compagnia degli Oms, uomini minuscoli che provengono da un pianeta ormai distrutto e utilizzati dai Draag come animali domestici. Terr, cresciuto e custodito da Tiwa fin dalla sua nascita, intuisce che la saggezza dei giganti viene trasmessa tra di loro attraverso messaggi captati da una specie di cuffia elettronica. Quando Tiwa viene iniziato alla meditazione, Terr fugge impadronendosi di una di queste cuffie.
Tratto dal romanzo di fantascienza di Stefan Wul Homo Domesticus (Oms en série, 1957), edito in Italia da Ponzoni Editore, il film nasce dall’incontro delle menti geniali del leggendario regista René Laloux (Les Temps Morts, Les Escargots, I maestri del tempo), e di Roland Topor, fondatore del movimento surrealista “Panique” con Arrabal e Jodorowsky, disegnatore, scrittore, autore e attore.
Le musiche ipnotiche di Alain Goraguer richiamano le sonorità dei Pink Floyd ma anche le musiche per film del cinema italiano e francese anni 70: anche la colonna sonora de IL PIANETA SELVAGGIO è diventata negli anni oggetto di culto.
Gran Premio della Giuria al Festival di Cannes 1973
Angoscia per il futuro quanto per il presente, Il pianeta selvaggio si inscrive perfettamente nella fantascienza post 2001: Odissea nello spazio, ma dall’altro lato della barricata. Quello di Laloux e Topor è un universo dove il postumano corrisponde al disumano, senza che nessuna fascinazione per il mistico e l’ascetico possa prendere il sopravvento.
Ambienti metafisici alla de Chirico e matite sporche, musiche lisergiche e inquadrature ipnotiche, non è nemmeno la morale in sé a tarare la potenza del film: come nelle migliori fantasie, incubo e nel sogno sono un tutt’uno e ciò che attrae è ciò che repelle, quanto l’agghiacciante è ciò che vale la pena raccontare.
