con Michelle Yeoh, Stephanie Hsu, Ke Huy Quan
(Usa, 2022) 139'; v. or. sott. it
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SPETTACOLI
venerdì 21 ottobre, ore 17.00 - v. or. sott. it
sabato 22 ottobre, ore 21.15 - v. or. sott. it
domenica 23 ottobre, ore 20.30 - v. or. sott. it
mercoledì 26 ottobre, ore 18.50 - v. or. sott. it
venerdì 28 ottobre, ore 21.15 - v. or. sott. it
sabato 29 ottobre, ore 21.15 - vers. it
domenica 30 ottobre, ore 18.00 - vers. it
mercoledì 2 novembre, 17.00 - v. or. sott. it
Un Cinema insieme cinefilo e popolare, carico di sovversione e con un'ambizione narrativa senza limiti (Andrea Fornasiero, mymovies.it)
Evelyn e il marito Waymond sono cinesi americani con una tipica impresa di famiglia: una lavanderia a gettoni. Sono però indietro con le tasse e devono presentarsi presso l'ufficio della IRS con vari documenti che giustifichino la detrazione delle spese. Della famiglia fanno parte anche il nonno materno Gong Gong e la figlia Joy, che è in una relazione lesbica mal digerita dalla madre. Nell'ufficio di Evelyn la banalità della sua vita viene travolta da una sconcertante missione: il multiverso è in pericolo e la donna, assumendo in sé le capacità delle proprie varianti da altri mondi, deve cercare di arrestare una misteriosa entropia cosmica.
Everything Everywhere All at Once sfida i Marvel Movie sul loro territorio narrativo con i mezzi del cinema indipendente e ne esce vincitore grazie alle molte soluzioni artigianali e all'affettuoso omaggio al cinema di Hong Kong.
Ci sono infatti le mani dalle dita giganti e amorfe che paiono uscite dai film di Michel Gondry e c'è il kung fu che fa uso di oggetti comuni come armi, dagli spazzoloni ai dildo, nello stile dei combattimenti slapstick di Jackie Chan. La sceneggiatura era infatti stata inizialmente scritta nel 2016 per Chan, ma poi i registi hanno preferito una protagonista femminile, più insolita e pure più al passo con i tempi, del resto Michelle Yeoh nelle arti marziali non è seconda a nessuno.
La "villain" è una Jaime Lee Curtis logorata da una vita nell'ufficio delle tasse, con tanto di pancia prostetica, ma che non manca di sfoderare la propria grinta. All'insegna del recupero di un cinema passato ci sono poi il mitico James Hong, reso immortale da Grosso Guaio a Chinatown e il sorprendente ritorno di Ke Huy Quan, alias Jonathan Ke Quan, attore vietnamita americano che da bambino aveva partecipato a Indiana Jones e il tempio maledetto e I Goonies. È invece quasi un esordio quello di Stephanie Hsu, che al cinema aveva avuto solo ruoli minori ed era per lo più nota per La fantastica Signora Maisel in Tv, dove interpreta Mei Lin, la nuova compagna di Joel.
Il casting guarda dunque molto agli anni 80 del cinema americano e punta sulla comunità asiatica, trasfigurando in senso eroico (ma pure comico e autocritico) la sua vita in America, assai più di quanto non abbia fatto Shang-Chi e la leggenda dei dieci anelli che invece si spostava presto in location lontane e in mondi fantastici.
Everything Everywhere All at Once lascia che la storia abbracci molte realtà diverse, come Doctor Strange nel multiverso della follia - che peraltro in America è uscito più o meno nelle stesse date invitando ulteriormente il confronto - ma riesce anche a mantenere il racconto nel mondo asiatico-americano, un po' come ha fatto il film della Pixar Red.
Everything Everywhere All at Once è diretto dai "Daniels" ossia da Daniel Kwan e Daniel Scheiner - registi di videoclip già fattisi notare con l'originalissimo Swiss Army Man - Un amico multiuso - ed è una scommessa dei fratelli Russo in veste di produttori.
Nel loro presentare varie realtà, i Daniels omaggiano anche Wong Kar-wai, con un universo in cui la protagonista è una star di un film che ha la stessa estetica di In the Mood for Love. Mentre in altri mondi toccano l'assurdo più assoluto, arrivando a protagonisti incarnati in pietre immobili, quasi fossimo in un film di Quentin Dupieux.
Quella dei Daniels è un'ambizione narrativa che non si ferma di fronte al budget e miscela riferimenti alti e comicità fisica, l'assurdità di un mondo dove si fanno le cose con i piedi e l'umorismo spudorato sulle penetrazioni anali, il tragico e il comico e soprattutto il fantastico e l'ordinario. Così Everything Everywhere All at Once riesce in un'impresa unica: imporre un immaginario originale, un modo di fare cinema cinefilo e popolare al tempo stesso, ricco di idee tanto di sceneggiatura quanto di messa in scena, senza rinunciare alla carica artigianale e sovversiva del cinema low budget.
Potrebbe essere un’esagerata infatuazione momentanea o uno dei film di cui si ragionerà in futuro come una delle tappe fondamentali del multiverso. E Michelle Yeoh ne è insieme il motore e il cuore. (Simone Emiliani, sentieriselvaggi.it)
Tutto può accadere dentro un cerchio: lo specchio di un’immagine familiare felice con madre, padre e figlia che cantano; i panni in lavatrice; il ripetuto dettaglio dove è evidenziata con la penna una fattura irregolare; la forma del bagel. Proprio attraverso gli oggetti di quella forma geometrica regolare ci possono essere il continuo passaggo verso altri mondi, trasformazioni e passaggi nello spazio e nel tempo, mutazioni e/o reincarnazioni. Everything Everywhere All at Once è un’altra sorprendente e originalissima visione del multiverso. Un altra visione, non contrastante ma neanche parallela, dei MCU Doctor Strange e Doctor Strange nel multiverso della follia, Spider-Man. Un nuovo universo e Spider-Man: No Way Home.
Finisce, ricomincia, termina, riparte di nuovo e potrebbe non finire più dopo i titoli di coda dove i viaggi spazio-temporali potrebbero riprendere. Suddiviso in tre parti (Everything, Everywhere, All at Once), segue i movimenti impazziti di Michelle Yeoh che nel film è Evelyn proprietaria di una lavanderia a gettone. La sua vita è nel caos; deve infatti gestire un matrimonio che sembra arrivato al capolinea, il rapporto con la figlia Joy (Stephanie Hsu) di cui non accetta la relazione che ha con un’altra ragazza e la figura sempre presente del padre Gong Gong interpretato da James Hong, che con Carpenter ha lasciato il segno con il personaggio del perfido Lo Pan in Grosso guaio a Chinatown. In più è tampinata da una spietata impiegata del fisco (Jamie Lee Curtis) che vuole vederci chiaro sulla contabilità della sua impresa. Proprio mentre si trova nell’ufficio delle tasse, si trova catapultata nel multiverso e deve ricorrere a tutte le sue variazioni di identità da altri mondi e quelle che ci sono state nel passato e nel futuro per sconfiggere un nemico inarrestabile e invisibile. L’obiiettivo è quello di riportare l’armonia nel mondo e nella sua famiglia.
Everything Everywhere All at Once mescola tutti le vite e i cinema possibili: kung-fu, wuxia, mélò, fantasy, commedia. È un film di spettri che compaiono e si dissolvono. Si potrebbe vedere quello di Jackie Chan; il film infatti era inizialmente pensato per lui. Oppure ricompare e ritorna in carne ed ossa quello di Ke Huy Quan (che interpreta Waymond, il marito di Evelyn), che è stato il primo attore bambino di origine asiatica ad avere successo nel cinema statunitense con i personaggi di Shorty in Indiana Jones e il tempio maledetto e dell’inventore del gruppo Data in I Goonies ma poi non ha più recitato per anni fino al film precedente di questo, Alla scoperta di ‘Ohana.
È incontrollato, ridondante, magnetico, è un film sul cinema (Evelyn attrice alla prima del suo film), ma come Everything Everywhere All at Once può cambiare e prendere tutte le direzioni possibili. Con il pulsante verde e il respiro, tutto può succedere. I combattimenti, grazie allo stunt coordinator Timothy Eulich hanno la fisicità ma anche la leggerezza di un musical o le linee grafiche di un film di animazione. Uno dei motivi di ispirazione, forse anche il punto di partenza, sembra essere il disegno History of Rise and Fall di Manabu Ikeda dove si vedono rami di ciliegio intrecciati, un turbine di pagode e binari del treno. Negli stacchi veloci di montaggio entrano in campo le citazioni più evidenti, da Ratatouille (titolo ripetuto e deformato più volte nel corso del film) e 2001: Odissea nello spazio (la scena con le scimmie nere). Anche se poi i riferimenti più immediati per i The Daniels possono rintracciarsi nell’anarchia formale dei manga giapponesi, gli sketches della serie Tim and Eric Awesome Show, Great Job! o anche i migliaia di video su Youtube di cui Everything Everywhere All at Once cattura le migliaia di storie e le espande come in un tableaux vivant infinito. Il multiverso assume dimensioni più ampie ma i The Daniels avevano già fatto le prove con il loro corto Possibilia del 2014. In più c’è anche l’estetica dei videoclip musicali che i due cineasti hanno già diretto in passato. Infine ritorna la contagiosa follia narrativa del riuscito esordio dei registi nel lungometraggio, Swiss Army Man, che ha come protagonisti Paul Dano e Daniel Radcliffe, dove un aspirante suicida intrappolato in un isola deserta scopre un cadavere con cui si imbarca in un viaggio e vuole convincerlo che la vita vale la pena di essere vissuta.
Everything Everywhere All at Once sfugge al controllo per le migliaia di direzioni che prende. Lo spaccato familiare, il rapporto tra Evelyn e la figlia Joy propone tutte le prospettive per i loro contrasti ma sottolinea anche il forte legame che le tiene unite. In tutte le vite possibili. Certo, forse il film non poteva esistere senza Michelle Yeoh. Ma grazie ai The Daniels diventa ora fantasma, ora marionetta, ora Dio, ora un cyborg, ora una donna comune tartassata dalle cambiali. Jamie Lee Curtis, che è anche una della fan più sfegatate di questa operazione e sta pubblicizzando il film dappertutto, costruisce una vilain d’altri tempi. Quando le due attrici interagiscono insieme, è spettacolo puro.
Forse una visione non basta. Everything Everywhere All at Once potrebbe essere un’esagerata infatuazione momentanea o uno dei film di cui si ragionerà tra qualche anno come una delle tappe fondamentali del multiverso. Immaginiamo di vederlo come una serie di immagini sovrapposte: ci sono insieme King Hu, Wong Kar-wai, Stanley Kwan e Wachowski di Sense8. Intanto la A24, che l’ha prodotto, fa i salti di gioia. Uscite negli Stati Uniti lo scorso 25 marzo nelle sale statunitensi, ha già incassato quasi 100 milioni di dollari su un budget di 25; al momento è il suo più grosso successo commerciale.
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