#Cannes74
(Colombia-Thailandia, 202i) 136'; v. or. sott. it)
con Tilda Swinton, Jeanne Balibar, Daniel Giménez Cacho
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SPETTACOLI
sabato 18 giugno, ore 21.15 - v. or. sott. it
domenica 19 giugno, ore 21.00 - v. or. sott. it
venerdì 24 giugno, ore 18.00 - v. or. sott. it
sabato 25 giugno, ore 21.15 - v. or. sott. it
domenica 26 giugno, ore 11.00 - v. or. sott. it; ore 18.20 - v. or. sott. it
Premio della Giuria al Festival di Cannes 2021
Durante gli Anni Settanta e Ottanta la Colombia ha vissuto un periodo di grande violenza diffusa. Il film è ambientato in questo periodo e racconta la vicenda di una coltivatrice di orchidee che si reca a Bogotà per fare visita alla sorella malata. Qui incontra un'archeologa e un giovane musicista. Durante il suo soggiorno comincia a sentire dei rumori che non la fanno dormire di notte. La sua insonnia è sempre più preoccupante fino a quando incontra qualcuno che si presenta come un alieno.
"La cosa che continua a sorprendere del cinema di Apichatpong Weerasethakul è la sua pervicace ostinazione a pretendere l'intervento fattivo dello sguardo dello spettatore. Esigentissimo e radicale fino ai confini del capriccio, l'autore thailandese chiede ancora oggi di guardare così a lungo e così a fondo che lo sguardo, inevitabilmente, ma anche splendidamente, si perde, cioè perde le misure, si disperde nelle geometrie. Che strano, più del punto di vista del regista, sembra che a fare il film sia chiamato il punto di vista dello spettatore. È lui che fa la scena, che filma, che gira. Non guarda soltanto, perché guardare e basta è poco vantaggioso. Deve agire, cercare, mettere a fuoco, registrare. Deve almeno provare a mandare a memoria.
Record. Storage. Memoria non è soltanto la memoria delle proprie priorità. E neppure – banalmente – la memoria della Storia. Oggi un cinema come questo, così chiuso e aperto contemporaneamente, così imploso e svincolato, è quasi un grido di libertà. L'effetto è quello assordante di un big bang. La ricerca dell'inglese Jessica (Tilda Swinton) è la nostra: lei vuole dare un nome e un senso al suono violento che una notte l'ha svegliata, in Colombia, e che continua a sorprenderla nei momenti più imprevedibili, noi siamo costretti – sì, il film ce lo impone – a cercare nella scena una proporzione, un elemento, anche – certo - un senso. Indaghiamo, gettiamo lo sguardo, lo sospendiamo, ci soffermiamo su un dettaglio, proviamo a metterlo a fuoco, ci spostiamo, passiamo ad altro.
Abbiamo tutto il tempo del mondo, perché il tempo, come di consueto per Weerasethakul, non ha tempo: lunghissimi piani sequenza a camera fissa, campi lunghi o lunghissimi, assenza di primi piani (fateci caso: in Memoria non ce n'è uno, e il solo mezzo primo piano è concesso a un uomo che dorme e pare morto, e non è chiaramente un caso). Nelle scene sembra non accadere nulla, talvolta un botto, cerchiamo di individuarne la fonte ma non riusciamo, seguiamo un uomo che cade per strada, si rialza e corre, non sappiamo se è stato uno sparo, non sappiamo chi sia l'uomo, perché corre?, da chi fugge? Per questo motivo dobbiamo intervenire. E siamo gravati dall'impegno di dare un nome, una forma, e pure un movimento.
Oggi un film come Memoria pare fantascienza. Il nostro sguardo, debole, non è abituato. Non è cambiato niente da Blissfully Yours e Tropical Malady: la fragilità e l'inadeguatezza ci prescrivono sforzi eccessivi, e la nostra attenzione rischia di collassare. Grazie al cielo! Esiste ancora un cinema in grado di sfidarci non con le tematiche forti e neppure con la politica, ma con una semplice ingiunzione di crearci da soli le generalità di ciò che stiamo osservando. Con un compito a casa che è anche una provocazione e una gara con noi stessi: ricordare perfettamente ciò che si è visto. Può darsi che la memoria, dopo, non sia così infallibile". (Pier Maria Bocchi, cineforum.it)
Viale della Repubblica, 277, 59100 Prato PO, Italia
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domenica 19 giugno, ore 21.00 - v. or. sott. it