Il 2016 ha riscattato dall’oblio letterario due opere che – seppur con differenti gradi di invisibilità – hanno trovato soltanto oggi un approdo editoriale. Due romanzi nei quali le fosche luci di un pantano ungherese o l’abbacinante chiarore di una steppa innevata evocano spettri danzanti, performance di ombre in un teatro cinese. I due romanzi in questione sono l’ungherese Satantango di László Krasznahorkai (pubblicato in patria nel 1985 la prima volta e qui per Bompiani) e Terminus radioso di Antoine Volodine (uscito “soltanto” nel 2014 in Francia e in Italia per 66thand2nd).
Lezioni di tenebra, rappresentazioni misteriche con apocalisse queste opere diversissime per struttura, visione e stile sono accomunate da un senso della fine, o meglio, della “ultimità”. Tuttavia se in Satantango di apocalisse vera e propria non si parla – sebbene tutto faccia intendere di essere già in un post-civiltà – la fantasmagoria di Terminus radioso si apre sulle spoglie di una Seconda Unione Sovietica letteralmente divorata da una catastrofica catena di esplosioni atomiche. I noccioli radioattivi del «nucleare civile» sono sprofondati nelle viscere della terra, avvelenando raccolti e falde acquifere. E sui bordi dei crateri, dai quali fluorescenze al cadmio brillano come pagane divinità, alcuni sparuti gruppi di umani sono convinti che il capitalismo sia stato sconfitto e trascorrono la propria vita in un incerto stato a metà fra sonno e veglia, fra vita e morte, vinti da un’inerzia definitiva. In una parola: sonnambuli.
Anche gli uomini e le donne di Satantango non riescono a svegliarsi da un dormiveglia paralizzante. L’azienda agricola collettiva di un tempo è ormai disabitata per sopraggiunto spopolamento dell’area. Solo in pochi rimangono sul posto e trascorrono le giornate nella speranza di un’epifania che sovverta l’andazzo paralizzante; nel frattempo passano il tempo ubriacandosi alla kocsma, bevendo palinka, tradendosi sia negli affetti sia nelle misere conquiste economiche. Ma tutto sembra mutare quando Irimiás, dato per morto mesi prima, torna all’accampamento. Lui, il mago, il redentore, spezzerà il sortilegio.
Questa speranza, seppur illusoria, è l’esatto rovescio del meccanismo narrativo di Terminus radioso: qui, infatti, il soldato Kronauer è un corpo estraneo che giunge al kolchoz che dà il titolo al libro in cerca di aiuti e viene risucchiato in quella specie di interregno magico governato dall’orco Soloviei, capace di muoversi indisturbato fra i sogni delle persone.
Affinità e divergenze fra il compagno Irimiás e Soloviei a parte in entrambi i romanzi sembra di capire che la fine del mondo arriverà anzitutto con una sospensione del tempo. Quando le ore saranno azzerate tutto sarà impossibile da compiersi. Una stasi agghiacciante condannerà il mondo allo spegnimento.
«un inganno farsesco nella sfera immobile dell’eternità, che attraversa la discontinuità del caos creando la satanica finzione di un percorso rettilineo»
László Krasznahorkai, Satantango
Krasznahorkai costruisce la sua partitura come un tango (da qui il titolo e del quale ci viene fornito, in chiusura un «libretto di ballo»), con capitoli simmetrici che procedono a zigzag nella cronologia della storia, fino al riavvolgimento finale. Non si sfugge al tempo, ma non è possibile trovare rifugio in esso. Gli ultimi abitanti allo «stabilimento» sono schiacciati fra un mondo senza storia, arcaico (con i personaggi colti nell’imminenza dissimulata di una vita rituale e pagana) e un mondo storico, moderno (la seconda parte del romanzo è di fatto un vangelo nero).
Il tempo di Volodine, invece, è quello del decadimento degli isotopi radioattivi. Ci si sposta di ottocento anni in avanti chiudendo le palpebre. La scrittura dell’autore franco-russo è quantistica: muta il determinismo del causa-effetto, ovvero l’ideologia romanzesca a tutt’oggi maggioritaria, nella probabilità che un evento accada o meno. In questo modo si può attraversare lo spaziotempo attraverso tunnel einsteniani, avanti e indietro con una grande libertà di visione.
«[…] si finisce in un universo di mezzo, in un qualcosa dove tutto esiste in maniera potente, dove nulla è illusione, ma dove, allo stesso tempo, si ha l’inquietante sensazione di essere prigionieri dentro un’immagine e di spostarsi in un sogno alieno, dentro un Bardo in cui si è come alieni, intrusi assai poco simpatici, né vivi né morti, in un sogno senza via d’uscita e senza tempo»
Antoine Volodine, Terminus radioso
Sono romanzi straordinari, spossati ancor più che spossanti. Fanno i conti con la teologia nera del neoliberismo selvaggio, quel there’s no alternative che, come dice Bifo in un suo articolo, significa in realtà there’s no way out. E in entrambi i nostri libri la sensazione disperante d’impotenza ci appare come una catastrofe compiuta.
Ha senso allora parlare di questi romanzi come esplorazioni di un day after, di un confine oltrepassato. L’apocalisse (storica, politica, sociale, economica) ha rivelato l’incapacità di uomini e donne ad agire, l’impermeabilità delle proprie impronte sul tessuto contemporaneo. Aldo Nove, nel suo ultimissimo Anteprima mondiale, scrive: «È successo che sogno e realtà sono diventati proprio niente, ma sono esattamente la stessa cosa».
I libri:
László Krasznahorkai
Satantango
Trad. it. D. Várnai
Bompiani, 2016, 320 pp., € 20
Antoine Volodine
Terminus radioso
Trad. it. A. D’Elia
66thand2nd, 2016, 540 pp., € 20