La città perduta
In dialogo con Marco Brizzi
Sono passati quasi quarant’anni da quando l’architetto olandese Rem Koolhas, nel suo volume Delirious New York, analizzava la “cultura della congestione” di Manhattan, il cuore di New York, diventata, grazie al repentino e incontrollato incremento della popolazione, dell’informazione e delle tecnologie, il laboratorio privilegiato per lo stile di vita metropolitano. Che cosa succede oggi quando alle nuove generazioni di architetti viene data la possibilità di realizzare i propri progetti, che riguardano ad esempio la riqualificazione di vaste aree, in tempi rapidissimi e con una manodopera a basso costo? Il vertiginoso sviluppo ha trasformato la Cina in uno di quei paesi dove viene data tale possibilità, perché in alcuni casi si è trattato di costruire con rapidità intere città. Una simile opportunità può portare con sé rischi e responsabilità e pone questioni importanti. È possibile costruire senza dimenticare le proprie radici? Quanto è necessario cancellare le vestigia del passato per costruire le architetture del presente? Quali le previsioni per il futuro?
L’architetto e professore Yung Ho Chang, fondatore nel 1993 dell’Atelier Feichang Jianzhu (FCJZ), è tra i protagonisti consapevoli di questo rinnovamento. Un intellettuale che ha vissuto, e vive, tra due grandi potenze del nostro tempo: Stati Uniti e Cina, Occidente ed Estremo Oriente. Il suo atelier, il cui nome è traducibile in italiano con “architettura inusuale”, è stato il primo studio professionale di architettura non governativa in Cina. Le architetture di Chang, in questi vent’anni, esprimono la sua capacità di “rivedere” e “rielaborare” i modelli occidentali, come nel caso della Vertical Glass House di Shanghai, progettata nel 1991 e realizzata nel 2013. In questo edificio Chang ha ribaltato in verticale un’icona dell’architettura modernista come la Glass House di Philip Johnson, integrando tecnologie digitali di progettazione con tecniche costruttive artigianali. Per Chang la globalizzazione è “un fenomeno molto interessante. Dal punto di vista professionale, quello che m’interessa è quale tipo di scambio culturale venga promosso dalla globalizzazione”.
Marco Brizzi è critico e curatore di iniziative legate ai temi dell’architettura. Insegna alla California State University (Firenze), alla Kent State University (Firenze) e all’Università degli Studi della Repubblica di San Marino/IUAV. Ha diretto “arch’it”, dal 1995 una delle prime riviste di architettura in rete. Dal 1997 al 2009 ha avviato e diretto il festival “Beyond Media”, manifestazione dedicata alla relazione tra video e architettura contemporanea e quest’anno, con l’obiettivo di condividere un patrimonio di contenuti e di idee raccolti in una vasta collezione di video di architettura, ha dato vita a “the Architecture Player”. È membro del comitato di selezione per il Mies van der Rohe Award.
Cambiamenti affronta le grandi svolte che il mondo sta attraversando, sia sul versante sociale che su quello politico, economico e tecnologico. Nella considerazione dell’arte come mezzo per comprendere – ed eventualmente cambiare – il mondo, il Centro Pecci invita una serie di personalità internazionali particolarmente attente ai problemi della contemporaneità, per suggerire una mappa di riferimenti sui cambiamenti globali.
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