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Argentina, 1985 di Santiago Mitre

Golden Globe 2023

FILM



11—15 marzo 2023

con Ricardo Darín, Peter Lanzani, Carlos Portaluppi 

(Argentina-Usa, 2022) 140' - v. or. sott. it.

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informazioni

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Spettacoli

sabato 11 marzo, ore 18.30 - v. or. sott. it.
mercoledì 15 marzo, ore 21.15 - v. or. sott. it.

 

Vincitore del Golden Globe 2023 come Miglior Film Straniero

 

Una dittatura "feroce, clandestina e vigliacca" ha governato l'Argentina dal 1977 al 1983, spargendo sangue e terrore. La fragile democrazia che ne è seguita, se voleva rimanere tale, doveva processare le "juntas" militari, per rendere giustizia alle vittime e al paese intero. Per la prima volta nella storia, il compito di mandare in prigione le alte sfere dell'esercito toccava ad un tribunale civile, e ad una persona in particolare: il pubblico ministero Julio Strassera.

 

"Una dittatura "feroce, clandestina e vigliacca" ha governato l'Argentina dal 1977 al 1983, spargendo sangue e terrore. La fragile democrazia che ne è seguita, se voleva rimanere tale, doveva processare le "juntas" militari, per rendere giustizia alle vittime e al paese intero. Per la prima volta nella storia, il compito di mandare in prigione le alte sfere dell'esercito toccava ad un tribunale civile, e ad una persona in particolare: il pubblico ministero Julio Strassera.


Sembra il nome che si dà a un mondiale di calcio il titolo del film di Santiago Mitre. E per certi versi la similitudine regge. Non per i temi trattati (quelli del film sono infinitamente più tragici e seri, non scherziamo), ma per il modo in cui designano un tempo e un luogo. E cioè con una tale precisione da richiamare l’attenzione su qualcosa destinato a restare, a farsi ricordare. A fare la storia (il fatto che poi l’Argentina solo pochi anni prima, nel 1978, il mondiale l’abbia ospitato per davvero vincendolo sotto il tallone di ferro della dittatura e nel 1986 l’abbia vinto di nuovo, crea un’assonanza ancora più forte. Ma queste sono chiacchiere per calciofili).


Perché l’Argentina nel 1985 la (sua) storia l’ha affrontata di petto, l’ha messa di fronte alle proprie responsabilità e ha provato a cambiarla per sempre. Una storia fatta di violenza inaudita, morte, terrorismo: la storia della giunta militare guidata da Jorge Videla che insanguinò il paese sudamericano per oltre sette anni, causando un numero incalcolabile di vittime e decine di migliaia di desaparecidos. Il 1985 fu l’anno in cui il presidente democraticamente eletto Raúl Alfonsín firmò un decreto per mettere sotto indagine e poi rinviare a giudizio i nove membri delle tre giunte militari che governarono il paese fra il 1976 e il 1983 – fra cui lo stesso Videla.


Il film parte da qui, ovvero da quando il caso viene affidato al pubblico ministero Julio Strassera (Ricardo Darín) e questi inizia a istruire il processo prima selezionando una squadra di giovani legali – alcuni appena laureati – con l’aiuto del proprio assistente Luis Moreno Ocampo (Juan Pedro Lanzani) e poi a raccogliere più prove possibili dei crimini perpetrati dalle forze armate, dai servizi e dalla polizia durante il periodo della dittatura.
Il ritmo perfettamente calibrato e il piglio da legal thriller che Mitre infonde al film – cucendo il tutto con dialoghi da commedia brillante – generano una suspense inaspettata (per una storia della quale si sa tutto) e spingono verso un finale da pelle d’oca. Ma non sono solo questa attenzione drammaturgica e questo raffinatissimo gusto per il racconto a fare di Argentina, 1985 un grande film. La bravura degli autori (la sceneggiatura è scritta da Mitre insieme con Mariano Llinás, regista di uno dei grandi capolavori del cinema argentino degli ultimi anni: La Flor, 2018) sta nel riuscire a rendere il racconto dell’evento fondativo della democrazia del loro paese una riflessione sul presente in scala universale. Perché Mitre, che nel 1985 aveva solo 5 anni (e la dittatura forse nemmeno è in grado di ricordarla), più che una cronaca dei fatti costruisce un viaggio a ostacoli nella memoria e nella coscienza dell’Argentina.
La sua ricostruzione è quasi un atto politico che mira a mettere in luce le storture di una società che se da un lato è stata la vittima più indifesa della dittatura dall’altro ne è stato anche lo strumento di maggior consenso. E proprio come nell’Italia del dopoguerra anche nell’Argentina degli anni Ottanta le contraddizioni di un sistema sociale avvelenato dalla mentalità fascista di funzionari, politici, amministratori e membri delle forze armate sostenuta (o per niente contrastata) da buona parte della classe media – come rimarca Moreno Ocampo in uno dei primi incontri con Strassera – e delle autorità religiose, sono nervi scoperti sui quali riflettere, in grado di porre le basi per comprendere i difficili anni successivi al processo e che riverberano ancora sul presente.
Un complesso discorso storico che permea anche attraverso le immagini e si percepisce nella discontinuità fra realtà e finzione che Mitre mette in campo. Forse non con lo stesso rigore di Larraín in No (2012), ma certamente con la medesima intelligenza, il regista passa dalle proprie riprese alle immagini di repertorio del processo prese dalla televisione, facendo sì che si sfumi sempre più il confine fra ciò che è reale e ciò che non lo è. Dimostrando la forza politica (e storica) che possiamo rintracciare ancora oggi in un evento tanto straordinario, ma allo stesso tempo l’enorme coinvolgimento emotivo che esso genera a distanza di tempo e di latitudine.
Come si vede nel già citato finale in cui Darín legge per intero la vera arringa di Strassera fino alla frase di chiusura, divenuta celebre: «Signori giudici, vorrei rinunciare all’originalità nel chiudere quest’arringa. Perciò vorrei usare una frase non mia, poiché già appartiene a tutto il popolo argentino. ¡Nunca más!» facendo riferimento allo slogan che indicò nella cultura e nell’attivismo popolare argentino il rapporto della Comisión Nacional sobre la Desaparición de Personas (CONADEP) redatto nel settembre 1984 e preludio alla stagione dei processi aperta nel 1985. Mitre dice di essere partito da qui per scrivere il suo film. Perché si tratta di un ricordo (collettivo) del quale porta memoria sin da bambino: «il boato dell’aula del tribunale, l’emozione dei miei genitori, le strade finalmente in grado di festeggiare qualcosa che non fosse una partita di calcio, l’idea di giustizia come un atto di guarigione». Ecco quasi come un mondiale di calcio, anzi no molto di più. La testimonianza che qualcosa di irripetibile, qualcosa che non potesse e non dovesse ripetersi mai più! aveva avuto luogo lì – per la prima volta dal processo di Normiberga – nel 1985 in Argentina." (Lorenzo Rossi, cineforum.it)




Dove
Cinema - Centro per l'arte contemporanea Luigi Pecci

Viale della Repubblica, 277, Prato 


Spettacoli
11 marzo, ore 18.30 vos
15 marzo, ore 21.15 vos

 

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