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Le Margheritine Věra Chytilová

Cinema Ritrovato

FILM



1— 3 giugno 2023

con Jitka Cerhová, Ivana Karbanová, Julius Albert

(Cecoslovacchia, 1966) 75' - v. or. sott. it.

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informazioni

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Spettacoli

 

giovedì 1 giugno, ore 19.15 - v. or. sott. it.

venerdì 2 giugno, ore 20.00 - v. or. sott. it.

sabato 3 giugno, ore 16.30 - v. or. sott. it.

 

Due ragazze, una mora e una bionda, con lo stesso nome, Maria, e la stessa carica devastatrice. Insolenti e spregiudicate, combattono il tedio dedicandosi con spirito anarchico e nichilista alla ricerca del divertimento e del piacere. D’altra parte, se tutto nel mondo va storto, perché rigare dritto? “Una metafora della forza distruttrice della natura umana applicata alla civiltà moderna in generale e al sistema comunista in particolare” (Briana Cechová). Esponente della nuova onda cecoslovacca, Věra Chytilová firma una satira sociale irriverente e grottesca, radicale anche nella forma, libera e visivamente straripante. Un inno alla ribellione.

 

Mentre nel film Qualcosa d'altro la regista sintetizzava l'autenticità del documentario con elementi del film di finzione, la pellicola successiva, Sedmikrásky (Le margheritine, 1966), per quanto riguarda il genere era stata concepita dalla regista, in una stilizzazione estrema, come una parabola, di sicuro sganciata dalla realtà “in maniera surreale”, ma che a essa reagisce con il proprio messaggio ideologico come una ‘moralità’ estremamente attuale. Questa posizione sarà per la Chytilová anche in seguito più che tipica, senza riguardo per l'aspetto formale dei film o per gli attori professionisti o non professionisti
La trama delle Margheritine assomiglia in sostanza a un assurdo nonsense. Le due ragazze, delle quali non verremo a sapere nulla di più preciso, decidono di distruggere e di svilire tutto ciò che è intorno a loro, e questo progetto di distruzione totale - condotto come un gioco divertente e temerario in cui tutto è permesso – è portato a compimento con coerenza fino alla loro stessa rovina.
Il compito delle attrici non professioniste, che erano state scelte con riguardo soprattutto alla loro indole, alla innata voglia di giocare, all'esibizionismo e all'inclinazione per le bravate più folli, era quello di eseguire totalmente le istruzioni riguardanti le azioni devastatrici, il che significava divenire malleabili ‘bambole per giocare’, che si lasciavano condurre dalla regista come marionette coi fili: questa predisposizione dei personaggi veniva del resto già segnalata nel prologo del film, dove le due Marie (l'identità dei loro nomi, presenti soltanto nella sceneggiatura, sta a significare fin dall'inizio che si tratta in sostanza di personaggi identici, due versioni di uno stesso tipo) iniziano a muoversi a scatti e a camminare a piccoli passi incerti, come guidate da fili invisibili nelle mani di un burattinaio. Lo scricchiolio dei cardini di legno nella colonna sonora non faceva che confermare questa evidente similitudine.


L'eccentricità dell'aspetto esteriore delle due ragazze (gli occhi truccati da vampiro, i vestiti stravaganti) corrisponde al loro comportamento alquanto insolente e fuori luogo: con malcelata voluttà esse commettono azioni comunemente giudicate scandalose, si divertono malignamente a danno delle vittime prescelte, si sbellicano dalle risate sia a spese degli altri che di se stesse. Tutti i faux-pas e le esibizioni sfrenate erano naturalmente ascritte a queste figure dalla volontà esterna della loro creatrice. Si pretendeva da loro che si abbandonassero a ogni mascalzonata con una spontaneità libera da pensieri e preoccupazioni, e con una gioia che derivava dalla loro depravazione ‘stupendamente perfetta’. Il tema della rivolta liberatoria dei personaggi del film è stato quindi paradossalmente realizzato come un ordine dettato ‘dall'alto’ ed eseguito passivamente.
I dialoghi e qualsiasi intervento parlato si limitavano alla più elementare comunicazione, alla descrizione di una situazione o alla semplice constatazione, ma anche in questa maniera di parlare risuonava l'autocompiacimento dell'esibizione sonora: le ragazze si esprimono con cura nei toni di uno slang attinto dalle strade di Praga, e il loro linguaggio assomiglia al blaterare senza senso di un bambino viziato.
L'artificiosità marionettesca dei personaggi è ulteriormente completata dalla composizione delle inquadrature e dalla magistrale fotografia. Le due monelle, esse stesse in un continuo movimento che non si concentra su nulla, sono inserite nelle composizioni delle inquadrature (nello stile del collage o dell'assemblage) come oggetti d'arte viventi, realizzando inoltre performance artistiche una sul corpo dell'altra (body art).
Dovendo caratterizzare questo modo non professionistico di recitare, che le protagoniste forse intendevano come un meraviglioso happening sui generis, appare fondamentalmente problematica la loro partecipazione ai ruoli, poiché accettarli significava diventare in parte un oggetto artistico vivente, in parte un grottesco 'giocattolo' coi fili, manipolato dalla volontà delle autrici-registe (la Chytilová e la co-autrice Ester Krumbachovà). La sola attiva e libera collaborazione delle due attrici non professioniste consisteva nella partecipazione al rituale di un gioco, che però non giocavano già più da sole, ma era, per così dire, giocato insieme a loro.


“Io non ho nulla contro gli attori. Al contrario. Considero la loro professione come una delle più belle”, ha detto la Chytilová. “Penso però che nel cinema, tanto per l'attore professionista quanto per l'attore non professionista, sia decisiva solo la sua personalità di essere umano. E questo l'elemento determinante per l'ingaggio. All'interno del film un individuo deve essere un elemento del tutto credibile, tanto per la sua conformazione interiore quanto per quella esteriore, sia quando la sua recitazione è già il risultato di un'interpretazione cosciente, sia quando è il risultato di una reazione lineare a una provocazione. Penso che ognuno dei cosiddetti attori non professionisti sia un potenziale attore (di cinema) e si tratta solo di stabilire che cosa vogliamo da lui e in che modo riusciamo a ottenerlo”.
Stranislava Přádná in Nová vlna. Cinema cecoslovacco degli anni ’60, a cura di Roberto Turigliatto, Lindau, Torino 2004
 

La nová vlna fu davvero un'ondata e fu davvero nuova. Il rallentamento del processo di destalinizzazione, dopo il congresso di Banskà Bystrice del 1957, fece sì che le forze innovatrici venissero compresse nei cinque anni successivi; al primo aprirsi di uno spiraglio, tra il 1962 e il 1963, le energie dei nuovi arrivati si riversarono verso direzioni ben più radicali di quelle tentate timidamente dai loro predecessori, come Kadar e Klos e i registi della “generazione del 1956” (Jasný e Kachiňa, Brynych e Helge: quest’ultimo, a mio parere, il più interessante nel suo classicismo e nella sua ‘critica dall'interno’ al sistema). Vláčil, da parte sua, che della nová vlna fu un precursore, mantenne sempre una propria autonoma linea poetica, inassimilabile a qualsiasi tendenza. I nuovi cineasti furono invece un gruppo di persone legate tra loro da rapporti di collaborazione e di discussione, una formazione comune alla FAMU di Praga (dove coi boemi studiarono gli slovacchi Hanák, Jakubisko, Havetta e Trančík), una divisione interna in tendenze molto specifiche e identificabili per affinità o contrasto. Se la linea Forman-Passer-Papousek costituì un vero e proprio team produttivo, Ester Krumbachova fu al centro di tutta una tendenza letteraria-metaforica-avanguardista, agendo del resto da liaison tra registi molto diversi come la Chytilová e Němec. Nella nová vlna funzionarono le amicizie (tra Juráček e Schmidt, tra i “tre moschettieri” della commedia già ricordati, tra gli slovacchi Havetta e Jakubisko) e le coppie (Kučera e Chytilová, Němec e Krumbachová), ma su tutti esercitò un’influenza notevole l’autorità morale più solitaria di Schorm, con la sua aureola di sofferenza e di serietà. Infine, all’ondata dei registi si affiancarono, innervando potentemente lo stile e l’immagine della nová vlna e producendo del resto alcune delle mutazioni piů profonde, quelle dei fotografi (dai più anziani Kučera e Čuřík ai più giovani Němeček, Ondříček, Šofr, Ort-Šnep, e gli slovacchi Szomolányi e Igor Luther) e degli attori, professionisti e non professionisti, corpi nuovi che mandavano in frantumi la statuaria degli anni Cinquanta. La nová vlna fu dunque tutt'altro che quell’avventura di individui isolati in cui sembrava consistere, per il regista Kazimierz Kutz, la precedente “scuola polacca”.
Roberto Turigliatto in Nová vlna. Cinema cecoslovacco degli anni ’60, a cura di Roberto Turigliatto, Lindau, Torino 2004

 

 




Dove
Cinema - Centro per l'arte contemporanea Luigi Pecci

Viale della Repubblica, 277, Prato 


Spettacoli

 

1 giugno, ore 19.15 vos

2 giugno, ore 20.00 vos

3 giugno, ore 16.30 vos

 

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