Cannes 75
con Amer Hlehel, Ashraf Farah, Anat Hadidi (Germania-Francia-Cipro-Palestina, 2022) 108' - v. or. sott. it.
Acquista il tuo biglietto online. Clicca qui!
Spettacoli
venerdì 12 ore 21.15 - v. or. sott. it.
sabato 13 ore 21.15 - v. or. sott. it.
domenica 14 ore 16.00 - vers. it.
mercoledì 17 ore 17.00 - vers. it.
Waleed vive a Haifa con la moglie e i figli, e ha da poco deciso di reinventarsi come romanziere. La pagina bianca però lo tormenta assieme a una forte depressione che neanche la terapia sembra poter curare. La sua concentrazione non è aiutata da un nuovo vicino di casa, Jalal, all'apparenza amichevole eppure molesto e poco rispettoso. L'iniziale conflitto tra i due lascia gradualmente spazio a un rapporto più sfaccettato, alimentato dall'evidente curiosità dei due uomini per i tanti non detti delle rispettive vite.
Premio per la Miglior sceneggiatura al Festival di Cannes 2022 nella sezione Un Certain Regard
Uno scrittore depresso ritrova lo slancio vitale grazie all’amicizia con il suo vicino criminale. Miglior sceneggiatura a Cannes 2022 nella sezione Un certain regard, una notevole commedia nera (Riccardo Baiocco, sentieriselvaggi.it)
"Ma che bellissima giornata! Non so se bere una tazza di té o impiccarmi!" (Anton Čechov) Mediterranean Fever ci lancia subito nella fervida immaginazione del protagonista Waleed. Seduto su una poltrona come un altro ragazzo, entrambi fissano attoniti una donna riversa in terra. In silenzio, entrano paramedici, polizia, e medici legali, che decretano la morte della signora e la portano via. I due osservano tutta la scena come spettatori da un altro tempo. Rimasti soli, Waleed confessa all’altro di aver ucciso sua madre, morta per aver sbattuto la testa a causa di una sua spinta. Il figlio della donna lo guarda e… lo rassicura. “Di fatto, è morta per essere caduta, non per la tua spinta. Non tutti quelli che vengono spinti poi cadono”, gli dice con una tranquillità che non viene minimamente scalfita dalle ulteriori spiegazioni di Waleed. A tirarlo fuori da questa impasse ci pensa suo figlio. Deve essere accompagnato a scuola. Ed è già in ritardo. Waleed, con grande fatica, si alza dal letto.
Questa prima scena stabilisce il tono graffiante del secondo lungometraggio della regista palestinese Maha Haj che arriva in sala a un anno di distanza dal premio per la miglior sceneggiatura allo scorso Festival di Cannes nella sezione “Un certain regard”. Lo stile, però, tornando alla dura realtà di un uomo sposato con due figli e scrittore in erba in preda alla depressione e conseguente blocco creativo, si asciuga. Una scelta che consente un’adesione praticamente perfetta tra la narrazione e il personaggio. La macchina da presa riporta le sue vicissitudini quotidiane (“Ciò che la gente considera normale è complicato con la depressione“, gli dice la psicologa) in maniera essenziale, mostrando allo spettatore la chiusura e il guscio emotivo dietro cui si nasconde Waleed. Eppure, in Mediterranean Fever, la depressione del protagonista non è solo un fatto intimo e personale. È anche la risposta inconscia alla condizione di esilio in casa propria, di un palestinese che vive ad Haifa.
“Questo film non è abbastanza palestinese”, diceva ne Il paradiso probabilmente un produttore a Elia Suleiman, forse con ancora negli occhiil suo film precedente, Il tempo che ci rimane. Se in un primo momento sembrerebbe immediato inserire Mediterranean Fever nel solco di quest’ultimo (non c’è nemmeno un personaggio israeliano), i frammenti di quotidianità sui quali aleggia la questione palestinese accomuna il film al primo. Il discorso lo si tocca direttamente solo in un’occasione: quando il nuovo vicino di Waleed, Jalal, gli dice candidamente che la Palestina può prendersela nel culo, producendo un primo e cruciale moto d’orgoglio nello scrittore. È sempre Jalal che lo tira giù dal letto per chiedergli in prestito una torcia appena trasferitosi, che spara musica a tutto volume e fa abbaiare i cani proprio quando Waleed affronta quell’abisso bianco che è una pagina vuota. Quegli elementi di disturbo, però, sono una scossa cruciale. Jalal è infatti solare e affabile, ma anche invischiato in giri loschi. Waleed riesce a forza di insistere a fargli compagnia nelle sue piccole attività criminali.
Così, la loro amicizia evolve in una serie di quadretti in cui si mescolano i colori della malinconia e dell’umorismo nel segno di dialoghi taglienti. La narrazione è comunque equilibrata, con scene che potrebbero quasi essere autosufficienti che partecipano sempre alla progressione della storia. In questo modo, nel mosaico di Mediterranean Fever si riescono a scorgere chiaramente tanto l’allegoria quanto la profonda umanità della vicenda. In bilico sulla soglia della realtà, tutto è sempre in procinto di trasformarsi in segno. Perfino una malattia genetica o un amico che, al culmine della disperazione, chiede di porre fine alle sue sofferenze.
Viale della Repubblica, 277, Prato
Spettacoli