L’opera, realizzata nel Castello di Rivoli, è del 1946, per quarantun anni ha lavorato, è stata restaurata da maestri artigiani, è uno strumento perfetto, tanto che i primi aeroplani si sono ispirati alla sua aerodinamica. Assumendola nella scultura ho fatto continuare il suo viaggio, è un po’ come un artista, ha fatto è fa viaggi incredibili” (Zorio). Il corpo ligneo della Canoa entrata in collezione in seguito alla mostra personale dell’artista curata da Germano Celant e Amnon Barzel al Centro Pecci nel 1992, appare scomposto e riunito dall’artista in maniera insolita e arbitraria, quasi come se fosse ancora immerso nell'acqua e sottoposto all'effetto ottico di rifrazione. Il punto di contatto tra le due parti dello scafo, le cui estremità ricordano le punte delle stelle e dei giavellotti, di cui la canoa rappresenta l’emanazione e il prolungamento, è segnato da una concrezione nera e spessa di bitume su cui si innesta una barra metallica di rame: un conduttore elettrico che aggancia l’opera al soffitto, disegnando un giavellotto la cui traiettoria culmina nel cono di una pergamena contenente una soluzione cristallizzata di solfato di rame.
A seconda delle condizioni ambientali, questa sostanza colorata reagisce modificando il proprio stato in quello di un liquido che stilla lentamente a terra. Dinamicamente sospesa nello spazio, la scultura di Zorio fende l’aria accogliendo e trasportando la memoria stratificata delle azioni dell’uomo e del tempo in una dimensione ideale, sulla soglia tra passato e futuro, dove l’immagine del flusso energetico si fonde con la metafora del viaggio, ispirando l’immagine poetica di una “rovina” e di un enorme “crogiuolo vivente” in cui il processo misterioso di trasformazione chimico-alchemica degli elementi trasfigura nel fluire imperscrutabile dell’esperienza umana. [D.V.]
canoa (in due parti) due barre di rame, pergamena, solfato di rame, giavellotto di rame
cm 220x1200x340