L’opera Cartoline, realizzata da Stefano Arienti tra il 1990 e il 1991 per il Centro Pecci in occasione della partecipazione alla mostra Una scena emergente. Artisti italiani contemporanei curata da Amnon Barzel e da Elio Grazioli, si compone di sessantacinque pannelli di polistirolo montati sui due lati di una struttura lignea e illuminati internamente da luci al neon. Ogni pannello presenta riproduzioni di opere d’arte e monumenti, vedute di paesaggi e illustrazioni tratte da cartoline e biglietti d’auguri, riunite sottoforma di una raccolta composita e personalizzata che, annullando le gerarchie tra generi, riconsegna allo sguardo una varietà di immagini conosciute e condivise.
“Non si può mai prevedere cosa diventerà una raccolta. Da questo punto di vista io sono un collezionista abbastanza atipico: per esempio colleziono stoffe da utilizzare per fare dei disegni, colleziono cartoline e poi le trasformo in un multiplo o in grandi immagini su polistirolo, faccio duecentomila diapositive che sistemo in ordine nei raccoglitori e poi va a finire che quelle immagini le utilizzo per fare dei disegni, o mi metto a trattarle o a graffiarle. Queste raccolte a un certo punto si trasformano, diventano qualcos’altro e spesso questo è anche un modo per liberarsene...” (Arienti).
Tutte le sue opere nascono, infatti, da un lento e minuzioso processo di selezione, appropriazione e modificazione di oggetti, testi, immagini e materiali attraverso un vasto repertorio di interventi artigianali che, assecondandone le qualità intrinseche, tendono a sviscerarne qualità espressive e potenzialità comunicative inedite.
Presentate in diverse varianti in occasione delle prime mostre personali dell’artista e alla sezione Aperto nell’ambito della XLIV Biennale di Venezia (1990), le ‘cartoline’ di Arienti mescolano momenti di storia collettiva a frammenti di memoria personale segnando, all’interno del percorso dell’artista, il passaggio da un disegno doppiato in negativo intervenendo sulla sua stessa traccia riprodotta, a una nuova forma di disegno ri-creato direttamente col taglierino, con solventi chimici e col pirografo. Ingrandite con l’ausilio dell’episcopio, le immagini di questi souvenir si trasformano in visioni che affiorano in trasparenza e proliferano sul polistirolo corrodendolo, mentre la luce che emerge dagli interstizi dei tagli e delle combustioni ne enfatizza, al contempo, l’aggressività e la fragilità. [D.V.]
pannelli di polistirolo, cm 200x100x2 cad., struttura in legno, luci al neon
installazione ambiente