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Intervista a Paolo Canevari

WEB TV / PECCI VINTAGE



Paolo Canevari - Nobody knows

a cura di Germano Celant

21.03 – 01.08.2010

 

La mostra, allestita nelle sale espositive, ripercorre le tappe fondamentali della sua attività e presenta lavori realizzati per l’occasione. Il lavoro di Canevari è legato alla riflessione sull’impermanenza nell’arte, sul significato della scultura e su come questa si metta in relazione con il contesto sociale contemporaneo. Fin dai primi anni Novanta, l’artista adotta come materiale d’elezione la gomma delle camere d’aria e dei pneumatici, sviluppando un linguaggio personale teso alla rivisitazione del quotidiano e agli aspetti più intimi della memoria dove si sovrappongono simboli, icone, cultura pop, rappresentazione storica e coscienza politica. La sua opera appare come tra le attuali sintesi delle espressioni linguistiche maturate dagli anni Sessanta in poi e non conosce confini di genere spaziando dal disegno al video, dall’installazione alla performance.

 

Tuttavia, nel suo lavoro l’artista evita l’idea di monumento e ogni retorica insita nell’idea di "tradizione" e di "classico". I materiali primari e semplici che compongono i suoi lavori, sono messi in rapporto con il concetto di rappresentazione e fungono da "chiavi" che permettono infinite possibilità di lettura. Allo stesso tempo, testimoniano la continua metamorfosi della materia la cui instabilità è sinonimo di apertura a diverse interpretazioni.

 

La grande personale di Paolo Canevari, curata da Germano Celant, è incentrata sulla serie dei Globes che forma una costellazione nelle sale del Museo e ruota sull’immagine di un grande globo nero su cui appare in silhouette l’immagine di un essere umano: un rimando alla natura originale dell’arte come luogo di riflessione sulla realtà e sui destini del mondo. Un’immagine romantica che proietta lo spettatore in un futuro sempre incerto, “nessuno conosce”, e l’artista nel dubbio presente all’atto interpretativo, “nessuno sa”, momento originario dell’ispirazione del gesto artistico. Una duplicità che trova sintesi proprio nella formula inglese Nobody Knows, titolo della mostra.

 

Esposti, inoltre, alcuni video inediti tra cui US (2009), una nuova serie di disegni su marmo nero in cui sono rappresentati gli animali simboli di potere e aggressione, che da sempre sono protagonisti dell’immaginario dell’artista, alcune installazioni progettate negli ultimi anni e presentate per la prima volta, come Hanging Around, la grande forca da cui pende un pneumatico che diventa altalena. All’interno del percorso espositivo non mancavano alcuni accenni e richiami a importanti lavori degli anni passati, opere che fanno da contrappunto ai recenti lavori e segnano una continuità nel tempo. Dai film di animazione prodotti per Blobcartoon – RAI 3 nei primi anni Novanta alle prime sculture in camera d’aria (Elmi, 1990), dalla Lupa Roma (1993) ai Colossei di circa dieci anni dopo. Sempre per gli anni Novanta sono riproposte le installazioni Esodo (1998), una folla di uomini ritagliati nella gomma delle camera d’aria, Jesus (1999), scultura in legno del XVIII secolo con pneumatico. In mostra anche il video Bouncing Skull, presentato alla 52° Biennale di Venezia (2007), oggi nella collezione permanente del MoMA, e Little Boy la grande bomba ricoperta di specchi come le discoball da discoteca. 

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Ren Hang. Nudi | intervista a Cristiana Perrella

Ren Hang. Nudi

a cura di Cristiana Perrella

04 giugno —30 agosto 2020

 

Esplicito ma anche poetico, il lavoro dell’acclamato fotografo e poeta cinese Ren Hang (1987– 2017) è esposto per la prima volta in Italia con una selezione di 90 fotografie, accompagnate da un portfolio che documenta il backstage di uno shooting di Ren Hang nel Wienerwald nel 2015 e un’ampia sezione di libri rari sul suo lavoro. Ren Hang è noto soprattutto per la sua ricerca su corpo, identità, sessualità e rapporto uomo-natura, che ha per protagonista una gioventù cinese nuova, libera e ribelle. Per lo più nudi, i suoi soggetti appaiono su un tetto tra i grattacieli di Pechino, in una foresta di alberi ad alto fusto, in uno stagno con fiori di loto, in una vasca da bagno tra pesci rossi che nuotano oppure in una stanza spoglia, i loro volti impassibili, le loro membra piegate in pose innaturali. Cigni, pavoni, serpenti, ciliegie, mele, fiori e piante sono utilizzati come oggetti di scena assurdi ma dal grande potere evocativo. Sebbene spesso provocatoriamente esplicite nell'esposizione di organi sessuali e nelle pose, che a volte rimandano al sadomasochismo e al feticismo, le immagini di Ren Hang risultano di difficile definizione, scottanti e allo stesso tempo pure, permeate da un senso di mistero e da un’eleganza formale tali da apparire poetiche e, per certi versi, melanconiche. I corpi dei modelli – tutti simili tra loro, esili, glabri, dalla pelle bianchissima e i capelli neri, rossetto rosso e unghie smaltate per le donne – sono trasformati in forme scultoree dove il genere non è importante. Piuttosto che suscitare desiderio, queste immagini sembrano voler rompere i tabù che circondano il corpo nudo, sfidando la morale tradizionale che ancora governa la società cinese. In Cina infatti, il concetto di nudo non è separabile da quello di pornografia e il nudo, come genere, non trova spazio nella storia dell’arte. Le fotografie di Ren Hang sono state per questo spesso censurate. “Siamo nati nudi…io fotografo solo le cose nella loro condizione più naturale” (Ren Hang).


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