Il documentario di Luciano Nocentini rispetta il progetto dell'esposizione del maestro dell’Arte Povera Gilberto Zorio tenutasi al Centro Pecci nel 1992, costruita come una sorta di “viaggio spazio-temporale metastorico”.
Curata da Germano Celant e Amnon Barzel, la mostra ha proposto opere create dall'artista fra il 1966 e il 1992, fra cui una inedita basata sulla pianta del museo. Zorio è intervenuto "tagliando" gli spazi ortogonali e occupando con le sue opere le aperture fra le varie sale espositive. Un'occupazione simbolica, tesa ad unificare gli spazi eliminandone le fratture. La mostra non ha seguito un ordine cronologico, ma ha esaltato l'autonomia di ciascun lavoro e la relazione stabilita fra opera e opera o fra queste e la struttura del museo, per dare vita a una mescolanza in cui predominavano i legami poetici. La tematica del flusso di energia, tipica dell'Arte Povera, è determinante nelle opere di Zorio, che rivendica per l'arte una continua mobilità. Egli crea delle sorti di "trasmutatori" di energia che prendono forme di alambicchi, tubature, cavi, resistenze elettriche, in uno sforzo teso a cogliere il flusso energetico degli elementi. Zorio si rifà alle esperienze primitive e medievali come pure alle conoscenze tecniche della modernità, saldando l'alchimia alla chimica e le macchine primordiali al laser, per mescolarle e confonderle ottenendo una sintesi artistica che riafferma una continuità di pensiero fra il passato e il presente.
Il perfetto spazio virtuale di Gilberto Zorio, regia di Luciano Nocentini (18', 1992)
Produzione Centro per l'arte contemporanea Luigi Pecci e Lambeth
Nella foto: Gilberto Zorio al Centro Pecci.
Foto © Carlo Fei
Foto © Alessandra Cinquemani
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