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Il perfetto spazio virtuale di Gilberto Zorio

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Il documentario di Luciano Nocentini rispetta il progetto dell'esposizione del maestro dell’Arte Povera Gilberto Zorio tenutasi al Centro Pecci nel 1992, costruita come una sorta di “viaggio spazio-temporale metastorico”.

 

Curata da Germano Celant e Amnon Barzel, la mostra ha proposto opere create dall'artista fra il 1966 e il 1992, fra cui una inedita basata sulla pianta del museo. Zorio è intervenuto "tagliando" gli spazi ortogonali e occupando con le sue opere le aperture fra le varie sale espositive. Un'occupazione simbolica, tesa ad unificare gli spazi eliminandone le fratture. La mostra non ha seguito un ordine cronologico, ma ha esaltato l'autonomia di ciascun lavoro e la relazione stabilita fra opera e opera o fra queste e la struttura del museo, per dare vita a una mescolanza in cui predominavano i legami poetici. La tematica del flusso di energia, tipica dell'Arte Povera, è determinante nelle opere di Zorio, che rivendica per l'arte una continua mobilità. Egli crea delle sorti di "trasmutatori" di energia che prendono forme di alambicchi, tubature, cavi, resistenze elettriche, in uno sforzo teso a cogliere il flusso energetico degli elementi. Zorio si rifà alle esperienze primitive e medievali come pure alle conoscenze tecniche della modernità, saldando l'alchimia alla chimica e le macchine primordiali al laser, per mescolarle e confonderle ottenendo una sintesi artistica che riafferma una continuità di pensiero fra il passato e il presente.

 

 

 

Il perfetto spazio virtuale di Gilberto Zorio, regia di Luciano Nocentini (18', 1992)

Produzione Centro per l'arte contemporanea Luigi Pecci e Lambeth

 

Nella foto: Gilberto Zorio al Centro Pecci.  
Foto © Carlo Fei

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Ren Hang. Nudi | intervista a Cristiana Perrella

Ren Hang. Nudi

a cura di Cristiana Perrella

04 giugno —30 agosto 2020

 

Esplicito ma anche poetico, il lavoro dell’acclamato fotografo e poeta cinese Ren Hang (1987– 2017) è esposto per la prima volta in Italia con una selezione di 90 fotografie, accompagnate da un portfolio che documenta il backstage di uno shooting di Ren Hang nel Wienerwald nel 2015 e un’ampia sezione di libri rari sul suo lavoro. Ren Hang è noto soprattutto per la sua ricerca su corpo, identità, sessualità e rapporto uomo-natura, che ha per protagonista una gioventù cinese nuova, libera e ribelle. Per lo più nudi, i suoi soggetti appaiono su un tetto tra i grattacieli di Pechino, in una foresta di alberi ad alto fusto, in uno stagno con fiori di loto, in una vasca da bagno tra pesci rossi che nuotano oppure in una stanza spoglia, i loro volti impassibili, le loro membra piegate in pose innaturali. Cigni, pavoni, serpenti, ciliegie, mele, fiori e piante sono utilizzati come oggetti di scena assurdi ma dal grande potere evocativo. Sebbene spesso provocatoriamente esplicite nell'esposizione di organi sessuali e nelle pose, che a volte rimandano al sadomasochismo e al feticismo, le immagini di Ren Hang risultano di difficile definizione, scottanti e allo stesso tempo pure, permeate da un senso di mistero e da un’eleganza formale tali da apparire poetiche e, per certi versi, melanconiche. I corpi dei modelli – tutti simili tra loro, esili, glabri, dalla pelle bianchissima e i capelli neri, rossetto rosso e unghie smaltate per le donne – sono trasformati in forme scultoree dove il genere non è importante. Piuttosto che suscitare desiderio, queste immagini sembrano voler rompere i tabù che circondano il corpo nudo, sfidando la morale tradizionale che ancora governa la società cinese. In Cina infatti, il concetto di nudo non è separabile da quello di pornografia e il nudo, come genere, non trova spazio nella storia dell’arte. Le fotografie di Ren Hang sono state per questo spesso censurate. “Siamo nati nudi…io fotografo solo le cose nella loro condizione più naturale” (Ren Hang).


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May 13—19, 2020
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  • Tatjana Lightbourn, Correlate with the grey/Correlare con il grigio, performance tenuta il 28 settembre 2019, Hymmo Art Lab, Pratovecchio, Arezzo. 

     

    Foto © Alessandra Cinquemani

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