E se invece fossimo già oltre la fine del mondo? Forse, è un'ipotesi, il tempo in cui viviamo è un tempo dopo il tempo, consapevoli come ormai siamo, che l'idea di un tempo lineare era probabilmente un'illusione. Perché l'infinito ci riporta in continuazione all'origine; quindi al tempo circolare.
In primavera del 2004 Maurizio Cattelan aveva fatto vedere a Milano tre bambini impiccati. Erano tre manichini, appesi a un albero, vicino alla Porta Ticinese. Pochi mesi dopo, a settembre, 186 bambini vennero ammazzati in una scuola a Beslan. Chi voleva capì allora che l'opera radicale di Cattelan non era una “provocazione”, ma un'anticipazione. Perché questa è la funzione dell'arte: raccontare l'accaduto prima che accada.
E del resto, per fare due esempi (ma ce ne sarebbero numerosissimi), se guardiamo due fenomeni francesi (ma non solo) di alcuni decenni fa: il nouveau roman e la nouvelle vague (rispettivamente nella letteratura e al cinema) possiamo solo stupirci quanto alcuni scrittori e alcuni registi abbiano anticipato la fine della parola e l'esaurimento del ruolo dell'immagine; ossia la radicale crisi della narrazione con un inizio, uno svolgimento e una fine. Andando più indietro nel tempo Bruno Schulz, lo scrittore polacco, già negli anni Trenta intuì la crisi di quella narrazione che si immagina il tempo lineare e in continuo progresso.
In altri termini: il mondo ci appare a pezzi, frammentario, e dove la sintesi è impossibile. Lo testimonia (un altro esempio) la mancanza degli intellettuali. La figura di uomo pubblico, armato di sola parola, un po' dilettante, ma in grado di riassumere il sapere del mondo e sul mondo, è scomparsa. Ci sono invece tanti specialisti delle più disparate e specifiche discipline.
E' la decostruzione la chiave per analizzare l'universo. L'idea che i pezzi decostruiti andassero rimontati, è assente nella discussione. Diceva Marx che l'umanità si pone solo problemi che è in grado di risolvere. Ecco, probabilmente, oggi non siamo in grado di ricostruire il mondo che ogni giorno stiamo smontando.
E del resto, ancora alcuni decenni fa (basti pensare al 1989) eravamo convinti che il progresso fosse un'idea valida, che nonostante la Shoah (crollo della civiltà occidentale) e nonostante le teorizzazioni di un Adorno e un Horkheimer il pensiero di stampo illuminista avesse una sua intrinseca e assoluta validità. Oggi non più.
E la crisi non è solo del pensiero. Semplicemente alcune certezze sono venute a mancare. Pensavamo, per esempio, che ci fosse un legame intimo e indissolubile tra il benessere materiale, la democrazia e la libertà. Oggi sappiamo che non è così. Eravamo convinti che l'accumulazione del capitale fosse legata alla crescita del sapere scientifico e tecnico specifico; oggi sappiamo che un'azzeccata speculazione in Borsa (aperta 24 ore su 24 su scala globale), fatta con un numero limitato di clic sulla testiera del computer, è molto più vantaggiosa del lavoro di generazioni di imprenditori e dei lavoratori.
E ancora; eravamo convinti che l'Europa fosse un luogo di pace e dove certe brutalità, dopo la Shoah e dopo il crollo dei regimi basati sulla soppressione dei diritti umani, non sarebbero più possibili. E invece, con la crisi dei migranti, con i barconi affondati nel Mar Mediterraneo e le barriere e i muri eretti per contenere i corpi umani, il corpo umano è al centro della politica.
Così, come in una maniera diversa, al centro del conflitto è il corpo del terrorista che si fa esplodere; una vita il cui scopo è dare la morte.
La fine del mondo si manifesta nell'epifania della biopolitica.
E allora che fare? La risposta è semplice: tornare alle origini.
(Lo intuì, decenni fa, Heidegger, ma si potrebbe discutere a lungo quanto il suo tornare ai Greci fosse in parte posticcio; e quanto la sua adesione al nazismo fosse invece autentica)
Tornare alle origini significa pensare e agire come se il tempo non ci fosse più; ossia (ri)scoprire lo stupore; non aver paura di porre domande prime ed elementari (cosa è il tempo? Cosa è l'amore? Cosa è la morte?). La Riparazione del mondo forse è oltre il nostro orizzonte, ma intanto, seppure in frammenti, lo possiamo narrare. A patto di essere capaci di immaginarci ciò che vediamo e raccontiamo.
[Immagine di copertina: Andrea Botto, KA-BOOM #17 Rapallo, 2009, Fine Art Pigment print, Image courtesy: the artist]
Andrea Botto, KA-BOOM #17 Rapallo, 2009, Fine Art Pigment print, Image courtesy: the artist.