24.02 - 30.04.2001
Nel 2001 il Centro Pecci ha ospitato la mostra collettiva Instant city. Fotografia e metropoli dedicata all'opera di grandi fotografi internazionali, prodotta dalla Direzione artistica del Centro, e a cura di Filippo Maggia.
Già presente nell'imponente personale dedicata al maestro giapponese Nobuyoshi Araki, la metropoli e le sua realtà sono diventate in questa mostra gli unici protagonisti nei lavori degli artisti invitati. La metropoli intesa come insieme di architetture, come organismo mutante nelle sue forme, destinate a divenire simboli e metafore di culture e economie fra loro distanti, ma anche sempre più luogo ove le persone s’incrociano, quasi arrivano a scontrarsi, riconoscendosi, oppure perdendosi, certamente interrogandosi sulla qualità del loro rapporto con lo spazio e con gli altri che, spesso, sembrano solo transitare.
Il percorso espositivo presentava una serie inedita di grandi opere realizzate in continenti diversi e, a seguire, fotografie in medio e piccolo formato eseguite in Cina dall'artista tedesco Thomas Struth, immagini di due mondi che sembrano confrontarsi o forse solo allinearsi. Le fotografie in bianco e nero dedicate alle città di Beirut e Palermo da Gabriele Basilico, con il consueto rigore che contraddistingue il suo lavoro, restituiscono dignità e maestosità alla città mediorientale stravolta dalla guerra e ordinano meticolosamente l’immagine di Palermo, riuscendo a far percepire nelle luci e nei toni la vicinanza culturale che idealmente accomuna le due città. Altra e ben diversa sensazione trasmettono le algide e asettiche fotografie di Keizo Kitajima, in cui i palazzi delle grandi metropoli giapponesi dialogano fra loro, in un clima dominato da un irreale colore azzurro, etereo; assente la gente, sono comunque squarci non casuali di città vive e sicure di sé, dominanti, veri simulacri del potere economico. La gente, le singole persone nella loro individualità sono necessarie, invece, alle immagini di Philip Lorca diCorcia; il loro “stare” nella città è il vero oggetto della ricerca del fotografo americano, il loro incessante intrecciarsi, il loro comunicare anche solo con un gesto, con un movimento che le rende uniche: la strada è l’unico teatro in cui potrebbero avverarsi queste minime e infinite storie. Nei lavori dell’artista irlandese Hannah Starkey il rapporto fra le persone diviene ancora più intimo, più riflessivo e privato, pur consumandosi in spazi pubblici; sullo sfondo di normali pub, nei negozi o sui mezzi pubblici gli sguardi s’incrociano, restando poi sospesi, stanchi, persi in sé stessi. Altro ritmo anima le immagini del fotografo indiano Raghubir Singh, ove il colore domina la scena e trasforma le metropoli indiane in un luogo di cui è possibile sentire i suoni e gli odori; la comunicazione fra gli uomini è caotica, frenetica, scivola sui corpi delle città e sulle loro millenarie architetture sacre, adagiate e immobili nell'osservare il tempo che passa e gli uomini che corrono, instancabilmente. Frenetica è la vita che viene ritratta da Henry Bond, attraverso piccoli frammenti disordinati di scorribande urbane, di bianco/neri e colori che il fotografo londinese compone in una sorta di diario senza un vero inizio né fine; la città entra e esce continuamente nelle sue fotografie, appartiene “naturalmente” alle persone che appaiono e scompaiono, alle volte lasciando su di essa solo tracce del loro passaggio. La città come sfondo di ben altre avventure è quella che, al crepuscolo, ci racconta nella sua lunga serie Boris Mikhailov, un luogo del passato dove le persone vanno rarefacendosi, sfumano, come le loro paure e le loro angosce, nel viraggio bluastro acido che avvolge senza speranza ogni panorama urbano; è una città che appartiene alla memoria dell’artista ucraino, ai suoi ricordi e alla storia. Nel presente, invece, vivono e si affermano le donne della ceca Jitka Hanzlová, nelle cui immagini la città giace dietro le figure femminili riprese così come vengono trovate, per strada; nei suoi piccoli ritratti l’ambiente urbano, le architetture, sembrano quasi scomparire, ritornare sotto il dominio dell’uomo e un nuovo, spontaneo e immediato rapporto sembra prevalere, in perfetto e delicato equilibrio, in ogni parte del mondo ove esso si manifesti.
Completano il percorso espositivo due progetti speciali realizzati per la grande sala sotto all'anfiteatro da Luca Andreoni - Antonio Fortugno e Francesco Jodice, considerati fra i maggiori esponenti delle nuova fotografia italiana, a cui il museo pratese dedica con interesse la propria attenzione.
Nel video, recuperato e montato dalla Web Tv del Centro Pecci, Francesco Jodice e Gabriele Basilico presentano la loro opera, le esperienze e le implicazioni del loro essere fotografi. Nel video sono presenti anche interventi dell'architetto Stefano Boeri.
Immagini dall'Archivio Audiovisivo del Centro Pecci
Montaggio: Maria Teresa Soldani
Musica: Moonplasir