L'apocalisse: un’idea, come quella dell’amore, che pervade la cultura di tutti i tempi.
La “storia della fine del mondo” è lunga quanto la “storia dell’origine del mondo”. Entrambe sono consegnate al “mito” e ad esso sottratte dalla scienza. Cosmogonie, escatologie e teleologie pullulano la tradizione orale e da essa si trasferiscono ai primi documenti scritti, in particolare nei testi religiosi, indipendentemente dal luogo o dal periodo temporale della loro stesura.
La comprensione del moto dei pianeti, della formazione delle galassie, della comparsa della vita sulla Terra e dell’origine delle specie ad un certo punto abbandona la sudditanza al divino o almeno trova un compromesso con essa.
Invece nel lungo repertorio del pensiero affidato alle biblioteche, la predizione della catastrofe o la ricerca del senso della nostra esistenza, fatica ad abbandonare l’irrazionale, la fede e l’emotività.
La storia dell’Apocalisse non può, infatti, discostarsi dalla storia della paura, in particolare di quella della morte, propria del gruppo a cui si appartiene o dell’ambiente in cui si vive, ed anzi si sovrappone in molti punti alla storia di come tale morte venga elaborata o la si vorrebbe scongiurare. L’Apocalisse assume tuttavia la forma di straordinari trattati filosofici e di capolavori della letteratura interamente dedicati ad essa o in cui la fine di tutto fa da sottofondo, oppure ricorre come un accenno costante o una citazione dotta.
Quasi tutti conoscono l’esistenza dell’Apocalisse di Giovanni, immortalata nelle incisioni di Dührer o negli affreschi del Battistero di Padova dipinti da Giusto dei Menabuoi. Forse meno noti al grande pubblico sono invece i saggi Il tramonto dell’Occidente di Osvald Spengler e La crisi della civiltà di Johan Huizinga, il testo teatrale Gli ultimi giorni dell’umanità di Karl Kraus e il romanzo Dissipatio H.G. di Guido Morselli. I foschi presagi tratteggiati in questi testi ci pongono dinanzi all’inquietante interrogativo di cosa potrebbe esserne del genere umano e dell’intero pianeta se si prosegue sulla strada delle guerre, dello spreco delle risorse, dell’inquinamento e dello sfruttamento indiscriminato.
Il conflitto nucleare, temuto con angoscia in tutta la metà del secolo scorso, è stato oscurato dalla caduta di un muro che ne ha lasciati innalzare molti altri. Allo stesso modo l’inquietante nube radioattiva di Chernobyl o quella tossica di Bhopal si sono dissolte lasciando carcasse di industrie e un’impalpabile economia basata su byte e capital gain. La stessa Shoah viene negata. Non cessa però di farci da monito il giulivo ed incosciente brindisi che nel 1938 Joseph Roth affidava a La cripta dei Cappuccini – «Sopra i bicchieri dai quali spavaldamente bevevamo, la morte invisibile incrociava già le sue mani ossute». Tutto questo ha ancor più senso in un mondo incollato alle Playstation, vagante nei centri commerciali, abbacinato da Facebook e aizzato al panico dalla propaganda su un manipolo di dinamitardi e su flussi migratori che nulla hanno da invidiare alle invasioni barbariche. Antichissimi esodi già testimoniati oltre tremila anni fa dalla peregrinazione sui ghiacci delle Alpi di Oetzi, la mummia ora esposta al Museo di Bolzano.
Il panico per l’incombente giorno del giudizio ed i deliri dell’idea di fine del mondo si sono succeduti nel corso dei millenni fino alla fatidica catastrofe annunciata del 12.12.12 attribuita ai Maya. Il picco è stato però nelle inquietudini sorte fra la fine dell’Ottocento, con il venir meno dell’acritica fiducia nel progresso, e il fungo di Hiroshima. Inquietudini che si sono intrecciate con le utopie e le distopie, confondendo tempi storici e tempi biologici. E sono proseguite nel lungo filone di film catastrofici che va dagli zombie fino a scenari di post-distruzione del pianeta: un’idea, come quella dell’amore, che pervade la cultura di tutti i tempi ed a cui dobbiamo prestare ancora attenzione, se non vogliamo restare atterriti dinanzi all’ennesimo presagio, che non tarderà a giungere, della scomparsa di tutto e della definitiva vittoria del nulla.
La nuovola di condensazione provocata dalla detonazione nucleare sottomarina “Baker”, 25 luglio 1946, Isole Marshall. Foto: United States Department of Defense (either the U.S. Army or the U.S. Navy) - derivative work: Victorrocha (talk), wikimedia commons, CC-BY-NC-ND.