Il suono della fine: guida all'ascolto della drone music.
Qualche mese fa ho avuto l’occasione di partecipare a una visita privata alle strutture dello SpaceX, l’azienda aerospaziale che ha sede a Hawthorne in California. L'intero spazio era affascinante: dall’hangar cavernoso, dove sono in costruzione razzi capaci di atterraggi morbidi ripetuti, a spazi relativamente piccoli, dove dozzine di dipendenti saldano piccole parti, al bar retrò dove i lavoratori possono assaggiare gnocchi vegan o crauti o altri piatti per un forfait di $5, tutto incluso. Ho il sospetto che l'immagine che conserverò anche in futuro è un trittico murale appeso vicino agli ascensori, al secondo piano. Sul pannello più a sinistra è raffigurato un pianeta simile alla Terra vista dallo spazio, con continenti verdi screziati di catene montuose marroni, racchiusi in mezzo a oceani blu. L'unico segno rivelatore che non si tratta della Terra è la geografia delle masse d’acqua e dei terreni, che in nessun modo assomigliano ai continenti a noi familiari. Il pannello centrale mostra lo stesso pianeta, ma con meno verde e blu, e molto più marrone. I continenti sono riconoscibilmente simili a quelli del pannello di sinistra, ma allargati; gli oceani si sono ristretti e ritirati, ma ancora perdurano in forma ridotta. Il terzo pannello mostra lo stesso pianeta, ma gli oceani sono scomparsi, e le due calotte polari sono coperte di bianco, presumibilmente neve.
Prima che vedessi questo trittico, la mia guida aveva terminato il suo discorso spiegando che uno degli obiettivi di Elon Musk, fondatore e amministratore delegato di SpaceX, è quello di "terraformare", o ingegnerizzare una nuova atmosfera e nuovi oceani che rendano il pianeta abitabile per la vita terrestre. Trasportare un piccolo numero di coloni è solo l'inizio; Musk mira a trasformare Marte in una nuova Terra, un santuario verso il quale l'umanità può fuggire, dal momento che persiste nel distruggere la sua casa attuale. Con questo mandato in mente, guardare il trittico è stata un'esperienza vertiginosa: se letto da sinistra a destra, la sua cronologia implicita era del tutto sbagliata. Musk sogna di trasformare l’arido Marte in un giardino dell’Eden, ma il murale suggeriva una versione della metamorfosi al contrario. Uno dei miei compagni ha ipotizzato che il trittico in realtà raffigurava il passato di Marte, la sua trasformazione da un mondo acquoso al suo stato presente freddo e secco. Un’altra persona del gruppo ha detto che semplicemente dovevamo leggere il trittico "a ritroso", da destra a sinistra, per comprendere il messaggio terraformante. I miei pensieri su SpaceX e sulle sue future mosse mi riporteranno quindi a questa vertigine, alla confusione tra passato, presente e futuro e, soprattutto, all'incapacità di individuare quando la fine di un mondo si verifica.
Le immagini della fine del mondo – in qualsiasi modo tale fine si possa definire – sono dilaganti nell’arte e nella musica di oggi. A causa di questa ubiquità, possiamo trascurare un aspetto formale comune a molta arte a tema apocalittico: il suo generare vertigini. Come ha notato Timothy Morton, “la fine del mondo” si è già verificata, perché il termine “mondo” sta significare una serie di riflessioni su ciò che la vita dovrebbe o non dovrebbe essere. Tim Morton, Hyperobjects: Philosophy and Ecology after the End of the World, University of Minnesota Press, Minneapolis 2013, pp. 107-8.
Possiamo quindi sentirci disorientati quando contempliamo l'arte apocalittica, chiedendoci quando la fine può aver avuto o avrà luogo, e che cosa è rimasto o rimarrà dopo questa fine. Io sento questo disorientamento quando ascolto gran parte della musica elettronica contemporanea. Per scegliere un solo sottogenere rilevante, ad esempio il genere drone synthesizer (o drone music), prendiamo la colonna sonora dei Popol Vuh per il film di Werner Herzog, Aguirre, furore di Dio del 1972. I temi musicali più riconoscibili sono i bordoni corali e di lunga durata abbinati alle immagini del conquistatore Klaus Kinski mentre scende, divino, da una montagna avvolta dalla nebbia. Quando la musica dei Popol Vuh era stata appena pubblicata, era facile associare i suoi suoni particolari – sintetizzatori che sembrano musica corale sacra – con il film, esso stesso un moderno Nuovo Cinema Tedesco che riprendeva il genere del dramma storico. Oggi il genere drone synthesizer, ispirato dall’album Aguirre dei Popol Vuh, è molto diffuso: dal lavoro A Descent (2013), ostinato nebbioso del gruppo canadese Secret Pyramid, a Ishi (2014), opera enigmatica di M. Geddes Gengras, artista di Los Angeles. Quello che nella musica dei Popol Vuh faceva presagire il disastro storico, da quel momento è diventato una forma comune per evocare la nostra morte imminente: la triste fine della spiritualità, come concepita dai Secret Pyramid, o una riflessione moderna sulla vera storia di Ishi, l'ultimo membro della tribù Yahi della California. Questa musica vertiginosa offusca il momento della fine e ciò che verrà dopo. I sintetizzatori sono un sistema vecchio di cinquant’anni per invocare “il futuro”, e quel futuro è vecchio per i nostri standard.
Un po’ della sensazione di disorientamento che ho percepito a SpaceX e che sento nei Popol Vuh è presente nella mostra inaugurale del Centro Pecci. Le opere sono state scelte in relazione al tema de “La fine del mondo” e, come afferma il testo introduttivo del direttore Fabio Cavallucci, il nostro tempo attuale ha la particolare caratteristica che “ci sembra di non essere in grado di capire cosa sta accadendo intorno noi”. In assenza di una conoscenza certa, pochi meccanismi di sopravvivenza hanno effetto. Nelle opere di Cai Guo-Qiang e Hiroshi Sugimoto l'attenzione si è spostata dall’umanità a una documentazione non-umana. Questo primo approccio dimostra che quello che sta finendo è una qualsiasi parvenza di mondo umano-centrico, ma non è chiaro se si tratta di qualcosa di presente, passato o futuro. Una tendenza secondaria si concentra sulla topografia e sulla geografia della fine, dal paradiso da accumulatore compulsivo di Thomas Hirschhorn alle genealogie mitiche di Qiu Zhijie, passando per i sotterranei spazi anonimi di Henrique Oliveira. “La fine del mondo”, come trattata in questa mostra, è quindi una cifra epistemologica, qualcosa i cui confini sono solo appena tracciati, e il cui contenuto è opaco ed indefinito.
Courtesy: NASA.